Liberateci dalle iperboli. Il rischio del dibattito politico
sabato 21 luglio 2018

Sbaglia il presidente dell’Inps Boeri quando dice che sostenere, da parte del governo, accuse di «complotti» per la relazione tecnica al decreto dignità significa «aver perso contatto con la crosta terrestre» e «mettersi in orbite lontane dal nostro pianeta»? Nelle dichiarazioni politiche di questa "strana maggioranza" si assiste in effetti a veri propri salti nell’iperspazio della fantascienza, con un distacco dalla realtà che impressiona e preoccupa. È una deriva, però, che colpisce anche il variegato (e per ora scompaginato) fronte contrapposto, quantomeno nella forma dell’iperbole verbale sempre più spinta: ben oltre l’inopportunità, fino all’insulto, alla criminalizzazione preventiva. Il risultato è una spirale che fomenta gli animi e porta dritto al "buco nero" dell’inconcludenza o, peggio, dello scontro violento e distruttivo.

Si possono leggere così alcuni episodi di questa settimana. A cominciare appunto dalla vicenda del decreto dignità e del parere, richiesto all’Inps, sui prevedibili impatti occupazionali e contributivi delle nuove limitazioni ai contratti a termine. La reazione del ministro del Lavoro che, appunto, grida al complotto, all’intervento notturno di una manina che avrebbe inserito dati esagerati nella relazione tecnica a sua insaputa, è degna di miglior causa e lontana dalla realtà. Se infatti l’intento dichiarato del decreto dignità è ridurre l’area del lavoro precario, un contraccolpo negativo sull’occupazione complessiva risulta scontato, implicito, non essendo realistico che tutti i contratti a termine siano trasformati subito in rapporti stabili. Certo si può opinare sulla stima e soprattutto sulla durata nel tempo di questi effetti negativi. E su questo piano il ministro Di Maio sarebbe dovuto rimanere, impegnandosi a controbattere, rimarcando le giuste finalità del provvedimento, anziché lanciare accuse di fantomatici blitz per screditare il Governo. Che invece, così, rischia di screditarsi da solo.

Questo primo mezzo passo falso è in verità anche figlio di una presunzione che caratterizza in particolare il Movimento 5 stelle: quello di una supposta autosufficienza, il ritenersi investito da una missione salvifica della politica e del Paese tanto da bastare a se stesso, dall’avere già in tasca – o meglio nella rete – la soluzione giusta a tutti i problemi. Senza la necessità di consultare esperti, acquisire pareri tecnici o anche solo ascoltare preventivamente le parti sociali, che infatti in tutto questo sono state completamente ignorate. Si va oltre la disintermediazione – tentata pure da Renzi – per spingersi sino al "chi non è con noi è contro di noi". Un peccato, un errore serio.

Al di là del merito dei singoli provvedimenti, infatti, si tratta di un atteggiamento rischioso e, appunto, lontano dalla realtà in società complesse come le nostre. Che può portare a risultati pesantemente negativi anche per altri dossier già sul tavolo del Governo come il delicato futuro dell’Ilva, la ri-nazionalizzazione di Alitalia (immaginiamo la corsa di operatori stranieri qualificati a ricoprire il ruolo di soci di minoranza senza poteri decisionali...) o la re-introduzione dei voucher attraverso un emendamento, senza neppure una valutazione dei possibili effetti negativi rispetto a quella "dignità" del lavoro che il decreto si prefigge di difendere.

Di fronte a tutto ciò occorre allora mantenere un atteggiamento fermo, sì, ma quanto più possibile rispettoso, razionale e legato al merito delle questioni. Sbagliato quindi, come ha fatto il presidente dell’Inps in un’audizione parlamentare, utilizzare parole irridenti e toni fuori misura verso gli esponenti del governo. "A brigante, brigante e mezzo" non può diventare la cifra né del dibattito istituzionale né di quello sociale. E perciò sbagliata pure la reazione aggressiva dello scrittore Roberto Saviano a Matteo Salvini, che – come noto – non s’impegna affatto, per la sua parte, a misurare le parole pur rivestendo ora una carica che lo imporrebbe.

Tuttavia, definirlo «ministro della mala vita» per sospette infiltrazioni di presunti ’ndranghetisti fra i suoi sostenitori, tutte ancora da verificare; accusarlo di aver «goduto» per la morte della madre e del bambino annegati al largo della Libia è ingiusto tanto sul piano istituzionale quanto su quello umano. Ma è soprattutto controproducente per le giuste battaglie sociali che si intendono combattere.

Beninteso: il ministro dell’Interno è stato il primo a sbagliare ipotizzando la cancellazione della scorta allo scrittore minacciato dalla camorra e non lesina certo espressioni ingiuste e insultanti, in particolare contro minoranze e Ong. Eppure bollarlo come l’incrocio tra Hitler e Totò Riina non aiuta, fomenta solo la polarizzazione del dibattito pubblico, permettendogli di sviare i fatti e di eludere le vere domande. Nessuno infatti può attribuire al ministro dell’Interno una responsabilità diretta per il tragico naufragio dell’altro giorno e per quelli che sempre più spesso accadono.

Ma Salvini non può non ammettere che quella disastrosa operazione di "salvataggio" – con una sopravvissuta lasciata in acqua e madre e figlio morti anche se, probabilmente, si potevano salvare – sia la riprova di almeno tre realtà. La prima che la Guardia costiera libica non è (ancora?) affidabile e Tripoli non è un «porto sicuro»; la seconda che se, come Salvini stesso ripete, si vogliono «salvare tutte le vite umane» occorre individuare modalità efficaci di soccorso e che perciò Marina e Guardia costiera italiane, così come le Ong, non vanno ostacolate o frenate nelle operazioni di salvataggio e di approdo in porti sicuri; la terza infine che occorre collaborazione e unità d’intenti per individuare nuove regole e vie d’ingresso nel nostro Paese oltre a un contenimento delle cause dei movimenti migratori grazie allo stop a guerre (e commercio d’armi) e al sostegno allo sviluppo nei Paesi d’origine.

Cominciamo a misurarci su questo. La fuga dalla realtà è pericolosa per tutti, le iperboli sono sbagliate e gli insulti ingiusti. Se si riparte dal rispetto reciproco e dal confronto sui fatti, però, costruire un "cambiamento" degno potrebbe non essere irrealistico.

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