venerdì 5 luglio 2013
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Tra le tante lobby attive in Italia la me­no influente è sicuramente quella del­le famiglie. Il motivo principale è che non agisce come lobby, e questo potrebbe es­sere anche un bene. La seconda ragione è che in Italia le famiglie – nonostante la co­stante e meritoria azione svolta dal Forum delle associazioni familiari – non sono a­bituate culturalmente e socialmente a per­cepirsi come una lobby e a considerare il valore pubblico del proprio ruolo. Gli ita­liani sono più portati a chiedere ricono­scimenti e ad accampare (veri o presunti) diritti a livello individuale – il lavoro, la pensione, l’assistenza – mentre non pen­sano di doverlo fare per il semplice fatto di essere un papà e una mamma con dei fi­gli da crescere.
Non è facile dire di chi sia la responsabilità di questo – circostanza che necessaria­mente si ripercuote sul sistema fiscale, pe­nalizzando il nucleo familiare rispetto ad altre situazioni – se di chi ha governato il Paese dal dopoguerra, compresi i tanti go­verni democristiani, o se alla fine la politi­ca non abbia fatto altro che riflettere il sen­tire (e il dare per scontata la solidità della famiglia) di una larga fetta della popola­zione. Sta di fatto che pochi Paesi in Euro­pa riservano ai nuclei familiari un tratta­mento peggiore di quello che si riscontra in Italia. Eh sì, altri gruppi di pressione sono decisamente più aggressivi e più efficaci nel perseguire i propri fini...
Per provare a chiarire il concetto può esse­re utile valutare il provvedimento del go­verno che ripropone le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie e li estende ai mo­bili per la cucina, agli elettrodomestici, a­gli infissi, agli impianti di riscaldamento a basso consumo e persino ai condiziona­tori a pompa di calore. (Dove stia il favore all’ambiente in un condizionatore è cosa non immediata da capire). La misura, che dovrebbe incentivare i consumi in questi settori, serve a sostenere imprese in crisi, a salvare posti di lavoro e, infine, ad aiu­tare le famiglie che si fanno carico di quel­le spese. Nessuno ne mette in discussione il valore – anche se si potrebbe disquisire sulla funzione di uno Stato che ogni anno decide in quali ambiti orientare, pre­miandoli, i consumi dei cittadini, senza alcuna strategia a lungo termine – tuttavia è curioso che a nessuno venga mai in men­te di valorizzare un altro settore in forte crisi: quello che, si passi il termine, 'pro­duce' bambini.
Lo 'scambio' tra figli e condizionatori è forse un’immagine un po’ forzata, ma rap­presenta bene la deriva nella quale stia­mo inconsapevolmente scivolando. È e­state, serriamo bene le porte, chiudiamo i nuovi infissi a isolamento termico, accen­diamo il condizionatore a pompa di calo­re, prendiamo una bibita dal frigo incen­tivato. Stiamo subito meglio. Purtroppo però la casa è vuota.
L’Italia è un Paese in declino demografico: lo scorso anno sono nati 534mila bambini, circa 12mila in meno rispetto al 2011. Un tasso di natalità basso è indicatore di un desiderio compresso nella popolazione, ma è anche una delle ragioni che rendono dif­ficile la ritirata strutturale della crisi. Gli in­centivi, come le 'bolle' creditizie o finan­ziarie, sono la sostanza che si somministra per mantenere attivo e vivace un organi­smo che sembra aver deciso di non avere più futuro.
Sia chiaro, non è in discussione il valore del­l’incentivo di cui tanti di noi beneficeran­no, e che bene farà a diversi settori econo­mici. Il punto è incominciare a rendersi conto, come nazione, che se un bonus de­gno di questo nome fosse concesso in virtù delle spese sostenute per mantenere i figli e i famigliari a carico, non servirebbe aiu­tare ogni anno un settore diverso a suon di sconti, e non avremmo nemmeno una po­litica avvitata da mesi a discutere di aumenti Iva e di tagli all’Imu.
Nessuno si augura che le famiglie possano costituirsi come una lobby propriamente detta. Forse però incominciare a riflettere sul fatto che un bambino merita più di un condizionatore, dovrebbe aiutarci a trova­re la strada più semplice (oltre che ecologi­ca) per affrontare l’uscita dalla crisi.
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