Per una svolta sicura
martedì 13 ottobre 2020

C’è, nell’intervista che il ministro Luciana Lamorgese ha dato ad "Avvenire" domenica scorsa, una frase illuminante, che fa respirare a pieni polmoni e fa esclamare: finalmente! È la frase di esordio, in cui la responsabile dell’Interno si pone l’obiettivo, appena superata l’emergenza Covid, di «arrivare a una ripresa dei flussi regolari», anche «per sottrarre tanti migranti allo sfruttamento dei trafficanti». E a morti terribili per annegamento come quelle toccate nelle ultime ore a una dozzina di donne e bambini provenienti dalla coste nord africane. Questo significa ragionare mettendo i piedi finalmente per terra. Partendo dalla consapevolezza che l’unico modo per contrastare l’immigrazione irregolare consiste nel favorire l’immigrazione regolare: darle regole precise, procedure snelle. Prosciugare la palude che produce clandestinità: sottraendovi tutti i casi di irregolarità non collegata ad attività criminali. Non accade, in Italia, da dieci anni. Perché è da dieci anni che l’Italia non adempie a quanto una legge dello Stato (articolo 3 della "Turco Napolitano") promette: definire con un decreto, entro il 30 novembre di ogni anno, quanti cittadini stranieri (per ogni nazionalità) potranno venire a lavorare in Italia nell’anno successivo. È il famoso "decreto flussi". Di cui da dieci anni si sono perse le tracce. Perché, a parte alcuni (comunque rari) decreti emanati – come quello di ieri – quasi soltanto per lavori stagionali e per alcune attività (essenzialmente agricole), per ritrovare l’ultimo "decreto flussi" generale (riguardante non solo gli stagionali) dobbiamo risalire al 2010 (governo Berlusconi, ministro dell’Interno Maroni). Da allora, non si può più venire a lavorare in Italia seguendo procedure regolari. Ma poiché l’Italia – le sue imprese, i suoi servizi, le sue famiglie – continua ad aver bisogno di lavoratori (non solo di braccia, ma di donne e di uomini che, cercando di migliorare le condizioni di vita proprie e dei loro figli, contribuiscano al benessere del nostro Paese) ciò ha dilatato l’area della irregolarità, delle persone "clandestinizzate".

In tutti questi anni, abbiamo sentito roteare roboanti propositi di voler "espellere tutti gli irregolari". Tutti? Proposito iniquo e, allo stesso tempo, impossibile. Iniquo: perché espellere tutti gli irregolari significherebbe, inevitabilmente, eseguire le espulsioni più facili. Vale a dire, le espulsioni degli stranieri che (pur privi di permesso di soggiorno) vivono e lavorano nelle nostre città e campagne avendo sempre con sé il proprio passaporto; per i quali non è dunque necessario avviare le lunghe procedure per l’accertamento dell’identità. Proposito comunque impossibile. Come ha ben compreso il senatore Salvini che nella campagna elettorale del 2018 prometteva di «riempire gli aerei per portare a casa gli immigrati irregolari». Ma poi, una volta insediatosi al Viminale, effettuò, in un anno, 6.598 rimpatri; quando l’anno prima, con il ministro Minniti, erano stati 7.981 (Il Sole 24 ore del 20 luglio 2019). Dunque, le espulsioni generalizzate sono una chimera (per noi neppure desiderabile). Al contrario, una politica mirata di espulsione degli stranieri che, con la commissione spesso abituale di reati, han dimostrato di non voler rispettare le regole di convivenza sarebbe strumento essenziale per garantire ai cittadini la certezza che i flussi migratori non scardineranno il tessuto sociale. Sicurezza e accoglienza sono due pilastri dello stesso edificio.

Non dimentichiamolo mai: tollerare che un autore abituale di reati non lievi rimanga in Italia senza subire conseguenze magari irridendo al poliziotto che per l’ennesima volta in pochi mesi lo sta arrestando), è una triplice offesa.

In primo luogo, verso le forze dell’ordine che svolgono sul territorio, nei quartieri in cui è più diffusa la criminalità urbana, un’opera difficile, delicata e ingrata. È un’offesa verso i cittadini che in quei quartieri sono nati, vivono e lavorano. Ma, a ben vedere, è un’offesa ancora più umiliante per i cittadini stranieri che ogni giorno affrontano le infinite difficoltà di una vita di duro lavoro e che non chiedono di meglio che condividere, con la comunità che li ha accolti, una comune cultura dei diritti e dei doveri. Un giorno, un giovane barista marocchino, lamentando il 'lassismo' del nostro sistema giustizia verso gli spacciatori, mi disse: «Se io vedo che un mio compaesano, venuto in Italia con me, spacciando in strada guadagna in una sera quello che io guadagno in un mese, mi sento calpestato dal vostro sistema. Ma continuerò a fare il barista, per mia dignità, anche se ogni giorno gli altri mi prendono in giro e mi propongono di mettermi a lavorare nello spaccio». Quando Luciana Lamorgese, nell’intervista realizzata da Vincenzo R. Spagnolo, dice di voler perseguire «la dignità delle persone che vengono accolte e la sicurezza delle comunità che accolgono», dà un abbraccio a quel giovane barista. Non lo fa più sentire solo.

Ma anche un piano mirato di espulsione dei cittadini stranieri autori di seri reati non è cosa semplice. Va pensato e organizzato con sapienza. Senza bisogno di nuove leggi, ma ricorrendo a strumenti che già ci sono. Abbandonando la velleitaria idea di 'espellere tutti' ci si dovrebbe concentrare a preparare l’espulsione di coloro che hanno commesso reati; in primo luogo, utilizzando il loro periodo di detenzione in carcere per istruire la pratica della loro immediata espulsione al momento della scarcerazione (accertando la loro vera identità e il Paese di provenienza); in tal modo rendendo superfluo un loro successivo soggiorno al centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Allo stesso tempo, per i condannati per reati meno gravi, si dovrebbe incentivare lo strumento (previsto dall’articolo 16 del Testo unico sull’immigrazione) dell’accompagnamento immediato alla frontiera come sanzione alternativa al carcere. Certo, sappiamo che, alla fine, le espulsioni non diventano effettive senza la collaborazione dei Paesi di origine. Verso i quali è necessaria un’azione diplomatica che è compito dell’Europa in quanto tale. Ma aver avviato nel nostro Paese una seria strategia di gestione dei flussi ci renderà più autorevoli e forti anche nelle nostre richieste verso l’Europa.

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