giovedì 20 giugno 2013
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​Vi è un rischio che incombe sulla "Settimana sociale" che avrà luogo nel prossimo settembre a Torino e che rappresenterà una forte occasione di confronto, quasi di "stati generali", sulla famiglia. In vista di questo importante avvenimento, sia consentito a chi ormai da molti anni si occupa di questo tema di svolgere alcune essenziali riflessioni. Il rischio che, a mio parere, incombe su questa assise è quello – di fronte a una vasta mole di fenomeni negativi – di occuparsi soltanto della patologia e della marginalità della realtà familiare e di lasciare in ombra la "famiglia normale": quella che, nonostante tutto, non divorzia né si separa, continua a farsi carico dei figli, è fondata sull’incontro d’amore fra uomo e donna. E invece vi è il pericolo – come sta avvenendo da qualche tempo – che un’ossessione quasi univoca, prodotto del dibattito politico generale, gravi soltanto su alcuni temi. Sono i veri problemi della famiglia gli inutili, seppure reclamizzati, registri delle unioni di fatto o le spettacolari "marce" di piccole minoranze omosessuali (i dati ormai statistici di cui disponiamo per molti Paesi e in alcune nostre città attestano il bassissimo numero delle registrazioni di queste coppie)?Non vi è dubbio che occorrerà difendere ancora i valori della famiglia; ma assai più importante sarà – anche a Torino – fare proposte concrete alla società civile, mirate alle "famiglie normali" che sono ancora la grande maggioranza e la cui crisi, ove si accentuasse, porrebbe problemi assai più seri e gravi di quelli provocati da "incentivi" alle coppie di fatto o gay. Abbandonare questa sorta di sindrome difensivista e affrontare con coraggio, e con lucidità di proposte, i problemi delle coppie e delle famiglie "normali" sarà, a mio parere, il banco di prova della Settimana sociale.Il successo, o l’insuccesso, delle proposte che proverranno auspicabilmente da Torino dipende tuttavia da una condizione sulla quale occorre schiettamente riflettere. Da molti anni ormai, si può dire, la famiglia è stata collocata – maldestramente e ingiustamente – "a destra" e la sua causa è stata sistematicamente difesa da una parte e altrettanto sistematicamente guardata con diffidenza, a dir poco, dall’altra parte. È stato questo lo scoglio sul quale – e non solo in Italia – si sono arenate molte valide e intelligenti proposte di politica familiare, a partire da quel principio, assai caro al compianto Ermanno Gorrieri (certamente non uomo di destra…) che non è mai giusto – lo ha ricordato Francesco Riccardi su queste pagine attraverso la celebre espressione di don Milani – «fare parti uguali fra disuguali» e cioè trattare fiscalmente e socialmente le famiglie con figli – che svolgono una funzione decisiva per la società e per il suo futuro – come altre pur rispettabili categorie di persone. Rendere giustizia alle famiglie non è un fatto né di destra né di sinistra, ma di intelligenza e di capacità previsionale.Eppure, nonostante tutto, il pregiudizio rimane e spesso l’abbraccio fra "destra" e famiglia si è rivelato mortale. Che sia giunto il momento di rompere antichi e sclerotizzati schemi per individuare, da ogni parte, la famiglia come una struttura portante della società, come fattore di progresso civile, come serbatoio di disponibilità, di servizio, di apertura agli altri, di amicizia e di solidarietà?
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