sabato 30 aprile 2016
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L’impegno a una sussidiarietà «alla milanese» Caro direttore, in un intervento su 'Avvenire' del 27 aprile scorso Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, si domanda tra l’altro se la sinistra a Milano è pronta a riconoscere «la capacità di rispondere ai bisogni che è presente nella società» e a «valorizzare le iniziative operose di bene comune secondo un approccio di sussidiarietà sociale». Non posso naturalmente rispondere per la sinistra in generale, ma per quanto riguarda una mia eventuale giunta, la risposta è certamente sì. Anzi, per essere più chiaro, la risposta è che non vedo altra strada, soprattutto in una città come Milano, la città degli Umiliati, sede di una delle più ricche tradizioni filantropiche pubbliche e private in Italia e oggi capitale del volontariato. E non la vedo in una situazione economica e sociale come quella attuale, che sta radicalmente cambiando proprio nel senso che Vittadini indica – e che il suo giornale, direttore, sottolinea e documenta da tempo – di una crescente difficoltà dello Stato a rispondere ai bisogni sempre più complessi della società da un lato, e, dall’altro lato, di un crescente protagonismo sociale che reclama un profondo cambiamento del modo di essere e di agire dello Stato, delle istituzioni locali e anche della stessa partecipazione dei cittadini. Milano, da questo punto di vista, oltre che «paradigmatica», come scrive Vittadini, è anche una città privilegiata, nel senso che è da sempre teatro di una vigorosa società civile ma lo è anche di una particolare tradizione politica ostile a ogni ideologismo e pragmatica, capace cioè di risolvere i problemi «senza buttare via il bambino con l’acqua sporca». Una tradizione laica, popolare e, aggiungerei io, 'riformista', nel senso più attuale del termine. Oggi il termine 'riformismo' ha acquistato infatti, a mio parere, un significato nuovo, un po’ diverso dal passato, quando definiva fondamentalmente un modo di essere della politica nei confronti della società civile, una società chiusa e fortemente classista che la politica era chiamata a cambiare radicalmente (sia pure in modo graduale) dall’esterno. Oggi il riformismo è diventato piuttosto il contrario, ossia un modo di essere della società civile verso la politica che è chiamata per questo fatto a cambiare radicalmente. Naturalmente, sto parlando di una società civile com’è attualmente quella milanese, continuamente percorsa da processi di innovazione e di cambiamento che reclamano in modo sempre più urgente dalla politica una capacità di governarne l’impatto sul piano sociale, territoriale, ambientale, culturale ed umano. È su questo terreno, ancora tutto da esplorare, che si pone il grande tema del rapporto pubblico-privato come un rapporto di pari valori. Mi ha molto colpito, a suo tempo ed in occasione della presentazione alla città della bozza di Piano di governo del territorio, l’osservazione dell’allora cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi: «Non di soli cantieri edili ha bisogno la città, ma anche di cantieri sociali». Ed è proprio così. Noi non siamo soltanto una polis, il luogo della politica, ma anche una civitas, ossia una comunità la cui grandezza sta nel fare, nel far fare e, soprattutto, nel fare assieme le cose che servono. È questo, a mio parere, il senso moderno della frase 'Milan dis, Milan fa'! Milano, lo sappiamo, è da sempre una città aperta e solidale, che ogni giorno si arricchisce di nuovi venuti restando se stessa. Che sa integrare nuove culture senza rinunciare alla propria. Che sa offrire cittadinanza (ossia partecipazione, sicurezza e libertà) a chiunque la chieda in cambio del rispetto delle regole e di questa sua cultura. Che è equilibrata, pragmatica e aperta, come lo sono tutte le vere culture, e autonoma, fatta cioè di tradizioni, obiettivi comuni, vita condivisa, regole non scritte che costituiscono da sempre la cornice entro la quale essa è vissuta e vive. Tra queste, declinato diversamente nel corso del tempo, c’è anche il principio di sussidiarietà, ossia lo sforzo di far coincidere il più possibile «la conoscenza del bene alla concreta possibilità di realizzarlo». Era così che Carlo Cattaneo definiva a suo tempo il principio municipale. È così che vorrei fosse interpretato anche oggi. * Candidato sindaco di Milano per il centrosinistra © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ospite
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