Pensateci: dov'è finito il «noi» contrapposto agli «altri»
mercoledì 3 giugno 2020

In questi giorni di più avanzata preparazione della fatidica Fase 2, invocata a gran voce e non sempre con toni improntati a pacatezza e buon senso, men che meno alla ragione, accarezzati benevolmente da un alito di brezza primaverile che nulla e nessuno potrà mai fermare, sembra un po’ ovunque di respirare un senso di effervescente ritorno alla vita, di voglia di ripartire. In questa drogata euforia, pare esserci poco spazio per tutto ciò che non sia misurabile, che non sia riconducibile a un numero, sia questa la data di riapertura per le varie attività o la distanza minima di sicurezza tra consimili o i metri quadrati di pertinenza di un ombrellone o la decrescita attesa del Pil o l’aumento dell’indebitamento o, ancora, i miliardi di euro che qualcuno – non abbiamo ancora deciso chi – ci deve dare. Non mancano neppure numeri improbabili di percentuali a denominatore ignoto, sciorinati – ahimè – anche da chi appartiene a un mondo nel quale il rigore metodologico ha, o dovrebbe avere, la stessa dignità della creatività e dell’intuizione. In tutto questo balenare di cifre, che ai nostalgici fa rimpiangere lotto e superenalotto, rischiamo che passi nell’indifferenza generale l’insegnamento più profondo di questa pandemia.

Forte del suo essere clandestino – lui sì nel vero senso dell’etimo – il piccolo coronavirus ha attraversato montagne e solcato oceani e ha accomunato popoli con pelle, lingua, cultura, religione e tradizioni diverse. Davvero una sorta di melting pot, come non si era mai visto. D’un tratto, la convinzione che si debba separare 'noi' da 'gli altri', che esistano problemi 'nostri', quelli di cui ci dobbiamo preoccupare, e problemi degli 'altri', che non ci riguardano, ha mostrato tutta la sua miope fragilità.

Che si tratti del piccolo Comune che bandisce le prostitute dalle sue strade o il Paese che chiude i propri porti a profughi e migranti, abbiamo contrabbandato lo spazzare fastidiosi epifenomeni sotto il tappeto del vicino con la soluzione dei problemi dell’umanità. Immersi nella cieca competizione all’ultimo decimale, abbiamo perso di vista che la vera sfida non è tra 'noi' e gli 'altri', ma nell’affrontare e comprendere le questioni fondamentali – cibo, diritti umani, energia, clima, istruzione, infezioni, solo per citare qualche esempio – che non riguardano alcuni e altri no, ma sono universali e non possono essere affrontate e risolte senza un impegno cooperativo.

Ecco il vero messaggio universale del piccolo virus. Dobbiamo abbandonare un modello strettamente competitivo, così pervasivo che ci vede snocciolare medie e statistiche comparative, crogiolandoci quando un decimale ci concede un effimero vantaggio o al contrario sminuendolo quando è preceduto dal segno meno, che comunque è sempre colpa di 'altri'. Non sarà un atteggiamento sciovinista, non sarà il chiudersi a riccio nella propria comunità, all’interno delle proprie mura, come sostengono inopinatamente alcuni presunti esperti, non sarà il costruire nuove barriere, come predicano politici incolti, a farci uscire dalla crisi generata dalla pandemia.

Siamo chiamati ad andare oltre questo sistema asfitticamente competitivo, che rischia di trasfigurare il fisiologico significato della competizione, quale strumento di selezione di strategie e di modelli più efficienti, nel fine stesso da perseguire, perdendo di vista il vero motivo del nostro agire. È necessario abbracciare un approccio cooperativo, che veda un impegno coeso, consapevoli che le grandi questioni dell’umanità sono, per loro natura, un problema di tutti e di ciascuno e non solo di coloro che, in un dato momento storico o in un dato luogo, ne sono le vittime immediate.

Dobbiamo superare la contrapposizione tra 'noi' e gli 'altri', invocata a sostegno di distinzioni geografiche e temporali che, sospinte da elementari bramosie politiche, hanno l’unico effetto di ampliare la discriminazione tra chi sta bene e chi sta male. In queste settimane tanto diverse dal solito quanto simili per l’umanità intera, il piccolo virus sembra volerci far distogliere lo sguardo da quei confini che abbiamo tracciato indomiti nel corso dei secoli e metterci di fronte agli occhi l’unico confine che ci accomuna tutti: quello che separa la conoscenza da ciò che ancora ignoriamo. Solo così potremo superare la pandemia e gli altri problemi globali dell’umanità. Questa è la vera sfida.

Neuroscienziato e psichiatra, direttore Scuola IMT Alti Studi, Lucca

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