mercoledì 4 dicembre 2013
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All’inizio ci fu un lamento. Poi un grido. Infine un boato che è rimbombato per l’intera Europa. Una goccia. Un rivolo. Poi un fiume in piena impossibile da bloccare. Troppa la sofferenza. Troppo il disagio. Troppe le lacrime versate. Il popolo, però, anche quando pareva una follia, ha continuato a credere di essere sovrano. Di vivere in uno Stato civile e democratico. Di essere detentore di diritti inviolabili anche quando venivano violati. Il popolo non si è rassegnato. Ha chiesto aiuto. È sceso in piazza. Ha preteso di essere ascoltato da coloro da cui veniva governato. Ha ricordato loro che il potere è tollerabile solo quando si fa servizio. La Chiesa campana si è fatta prossima. Ha raccolto il dolore e le lacrime della sua gente. In modo singolare ha protestato accanto ai suoi figli. È finito il tempo dei salamelecchi sempre e a tutti i costi. La Chiesa, maestra in umanità, ha sempre insegnato il rispetto per le autorità costituite. Ma ha anche imparato, con garbo ed educazione, a protestare energicamente qualora i diritti della gente vengano infranti. Quando i poveri non hanno lavoro né pane da mangiare. Quando la terra viene avvelenata per l’ingordigia di persone divorate dal demone del possesso. La Chiesa protesta, e nel farlo ha reso un grande servizio a tutti. Anche a coloro che dopo essersi assunti l’onore e l’onere di governare non sempre lo hanno fatto. Mille comitati di giovani volenterosi hanno dato in questi anni un esempio di civiltà e di democrazia. In Campania sono stati le uniche, vere sentinelle di un territorio abbandonato a se stesso. Un territorio condannato a diventare la pattumiera d’Italia. Roghi tossici bruciavano dappertutto nelle campagne. Rifiuti industriali, altamente tossici e nocivi per la salute, dati alle fiamme di notte ma anche in pieno giorno. Sotto gli occhi di tutti. Uomini cinici e senza scrupoli, forti di uno Stato debole, la facevano da padrone avvelenando la campagna. Irridevano. Intimidivano. Minacciavano. Sapevano di non correre alcun rischio. Anche se colti in flagrante, al massimo pagavano una multa. Tutto messo in conto. Non era possibile. Occorreva a tutti i costi inasprire le pene. Ma come fare perché la flebile voce delle periferie arrivasse fino ai palazzi del potere? <+CORSIVOA>Avvenire<+TONDOA>, il giornale che avete tra le mani, ci è venuto incontro. L’Italia è venuta a conoscenza che in Campania una intera fetta di territorio a cavallo tra le province di Napoli e Caserta soffriva pene amare. Gli italiani onesti, amanti della verità, ci hanno sostenuto. Intanto nella "Terra dei fuochi", da noi invitati, arrivavano ministri e deputati. Senatori e scrittori. Giornalisti ed europarlamentari. Ho sempre creduto che nel fondo degli uomini – di tutti gli uomini – c’è qualcosa che si ribella al brutto, al falso, al cattivo. I politici facevano promesse, ma nessuno ormai gli credeva. Troppe volte la gente era stata ingannata. Ma gli uomini cambiano. Cambiano le sensibilità. Cambia la realtà. La forza della disperazione per essere efficiente necessita di accompagnarsi alla speranza. Sempre. Anche quando sperare sembra essere inutile e dannoso. Ed ecco che ieri arriva la prima notizia bella. Il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legge la cui prima norma ha l’obiettivo di introdurre sanzioni penali per chi appicca roghi tossici. Finalmente. Dunque chi sversa veleni o accende roghi andrà incontro alla galera e non più a una contravvenzione. Inoltre, nel giro di pochi mesi, sapremo con certezza quali terreni sono stati avvelenati e quali no. Queste notizie ci riempiono di gioia. L’economia agricola campana potrà riprendere il suo cammino. Gli agricoltori potranno ritornare a coltivare con serenità le loro terre. E con la stessa serenità le famiglie potranno sedersi a tavola e ringraziare Dio senza il timore di mangiare cibi pericolosi. La strada da percorrere è ancora lunga, ma abbiamo iniziato bene. E di questo i cittadini campani non possono non essere riconoscenti.
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