giovedì 23 aprile 2009
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Modesta proposta: parlarne di meno, leggerne di più. Perché va bene, anzi benissimo che un giorno all’anno ci si ricordi del libro e che se ne celebri l’importanza. E meglio ancora è che quel giorno sia oggi, il 23 aprile, che in Catalogna è la festa di San Jordi, quando gli uomini regalano rose alle donne e in cambio ricevono - appunto - libri. Ma il 23 aprile del 1616 fu anche il giorno in cui a Stratford morì Shakespeare e a Madrid si spense Cervantes, mentre a Cordova scompariva Garcilaso de la Vega, detto 'el Inca', lo straordinario scrittore attraverso il quale le Americhe impararono a esprimersi in castigliano. E forse proprio da qui bisognerebbe partire, dal potere misterioso che consente ai libri di sopravvivere ai loro autori. Shakespeare e Cervantes appartengono alla storia, Amleto e Don Chisciotte continuano a essere nostri contemporanei. Quanto all’Inca, i suoi 'Commentari' raccontano la storia autentica di un popolo con tutta la forza e la complessità che, di solito, attribuiamo ai romanzi. Viva i libri, quindi. E via con i festeggiamenti. Che poi però passano, lasciando ogni lettore – e ogni scrittore – alla sua condizione più abituale: il silenzio e, più ancora, la solitudine. Probabilmente è anche per questo che, negli ultimi anni, si sono moltiplicate le campagne a favore della lettura in generale e del libro in particolare. Di solito, ammettiamolo, non è un buon segno. Non ci fossero allarmi – del tutto giustificati o almeno in parte esagerati, non importa – sulla salute del pianeta, ieri non avremmo celebrato la giornata della Terra. E se leggere fosse un’attività di massa, se il libro fosse un gadget di successo come i cellulari di ultima generazione, oggi non saremmo qui a discutere di Shakespeare, non saremmo qui a lodare Cervantes. O magari sì, lo faremmo lo stesso, ma non per ricorrenza di calendario. E poi, non dimentichiamolo, c’è l’orizzonte del digitale, su cui si staglia la minaccia della smaterializzazione dei testi. È un altro dei paradossi del XXI secolo: mai così tante opere a disposizione di chiunque, mai così tanta incertezza sulle sorti della carta stampata. Al punto che, in questa giornata fatidica, ancora non è chiaro se ci si stia felicitando per l’esistenza degli incunaboli o per il crescente successo – lento, è vero, ma crescente – degli ebook. Di sicuro, noi che siamo diventati adulti con l’idea che il mondo stesso fosse descrivibile e leggibile sotto la specie di un libro, ancora facciamo fatica a persuaderci che il criterio interpretativo possa essere un altro, frastagliato e cangiante come l’alberatura di un sito internet. Per orientarci, una volta di più, chiediamo aiuto ai libri, i quali procedono però con moto alterno: a volte scommettono spavaldi sulla propria vittoria, altre sembrano rassegnarsi alla prospettiva di un declino inesorabile. Anche per questo, in definitiva, bisognerebbe parlarne di meno, bisognerebbe leggerne di più. I libri hanno il loro destino, infatti, oltre che abitudini singolari. Prosperano nella penuria, deperiscono nell’abbondanza. Sono sfilate di parole che invitano al silenzio. E ci obbligano alla solitudine per permetterci – finalmente – di stare in compagnia di noi stessi.
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