sabato 12 marzo 2016
Vita, buone notizie da Parigi. Il tempo dei ponti
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La data del 12 marzo 2016 dovrebbe restare memorabile (depurando questo aggettivo da ogni enfasi retorica): per la prima volta, a Parigi, si è riusciti a organizzare un Forum internazionale “pro vita”. L’ha promosso la Federazione “Uno di Noi” , una Federazione che accoglie trentuno associazioni nazionali, radicate in ben diciotto Paesi europei, tutte volte alla difesa della vita dal concepimento alla sua fine naturale. L’iniziativa merita tutta l'attenzione noi tutti, cittadini e rappresentanti dei cittadini, sotto diversi punti di vista, che cercherò di riassumere brevemente. In primo luogo si è riusciti, superando difficoltà organizzative e finanziarie facilmente immaginabili, a far interagire movimenti nati in contesti strettamente nazionali e caratterizzati da un’attenzione prevalente per la realtà sociale e normativa specifica di tali contesti. Il sistema dei diritti umani, che sembra accomunare da un punto di vista valoriale tutti i Paesi occidentali e quelli dell’ Unione Europea in particolare, si è rivelato da tempo efficace (sia pur con molti limiti) per quel che concerne i diritti civili delle persone, ma terribilmente ambiguo per quel che concerne i temi etici fondamentali, quelli legati appunto alla vita e alla morte: è sotto gli occhi di tutti come il mero riferimento alla democrazia, che indubbiamente costituisce un momento di forte sintesi per tutti i cittadini europei, non impedisce che si diano legislazioni nazionali radicalmente diverse per quel che concerne temi come l’aborto o l’eutanasia. Di qui l’esigenza di un allargamento di orizzonte, per chi è divenuto ormai consapevole che i problemi legati a queste tematiche non possono più essere affrontati in un’ottica ristretta: l’attenzione esclusiva o prevalente alla normativa delle singole nazioni, per quanto meritevole di ogni elogio, corre il rischio di acquisire profili indebitamente provinciali e quindi inevitabilmente marginali. In secondo luogo il Forum parigino si è dimostrato estremamente acuto nell’individuare come la difesa della vita, oggi, abbia bisogno di essere promossa partendo non più principalmente da discussioni di carattere fondativo (ampiamente sviluppate negli ultimi decenni e purtroppo con esiti non sempre soddisfacenti), ma dalla percezione che stanno emergendo, in modo molto spesso subdolo, nuove forme di violenza contro la vita, nei confronti delle quali è necessario assumere piena consapevolezza, per poter poi reagire decisamente. Il dilagare, in specie negli Usa, di aborti tardivi (spesso veri e propri infanticidi prenatali), finalizzata al commercio di organi a fini di trapianto, la crescita del mercato della "gravidanza surrogata" (che strumentalizza e cosifica madri e figli) travestita da "dono", la diffusione di pratiche eutanasiche a carico dei soggetti più deboli, mascherate da non credibili forme di acquisizione di consenso, la manipolazione genetica di gameti e di embrioni, giustificata pubblicamente da radiose prospettive terapeutiche, ma volta di fatto a cercare di dare sostanza al mito del transumanesimo, cioè alla sperimentazione di forme di ricostruzione scientista dell’identità umana, richiedono un impegno del tutto nuovo, che sappia andare al di là di espressioni di sdegno morale o religioso e che obblighi tutta la società civile ad una presa d’atto fondamentale di carattere cognitivo, fino ad oggi sistematicamente rimossa: bisogna far capire, attraverso un lavoro culturale faticoso, ma imprescindibile, che simili questioni non attengono all’etica individuale e non possono essere lasciate alla sensibilità morale personale di ciascuno di noi (come vorrebbero i “liberali”, solidaristi smemorati e nuovi e vecchi libertari), ma implicano mutamenti antropologici e sociali fondamentali, che hanno un prevalente rilievo pubblico. Ed è appunto sul rilievo pubblico delle tematiche che danno sostanza alle iniziative della Federazione “Uno di noi” che deve incentrarsi la nostra attenzione e deve concretizzarsi il sostegno che dovremmo tutti fornirle. La difesa della vita umana e della sua dignità non ha un rilievo ideologico, non si radica, cioè, in una “visione del mondo” che possa essere o no condivisa in un orizzonte di libero confronto delle idee. La questione non è ideologica, ma antropologica: non sono in gioco le nostre preferenze soggettive, i nostri diversi stili di vita, le nostre più allettanti fantasie, i nostri più intimi desideri o il modo in cui vorremmo dar vita a quello che per noi potrebbe essere il migliore dei mondi possibili. Oggi non è in gioco la nostra “visione del mondo”, ma la vita, la nostra vita. E la vita è un fatto, è realtà non un’ideologia. Il Forum di Parigi, sfidando notevolissime difficoltà e mille forme di incomprensione, che arrivano a volte all’irrisione, vuole rammentarci tutto questo. È quanto basta per essergliene profondamente grati e accettare la sfida affermativa che propone, per gettare ponti tra uomini e donne che vengono da cammini diversi e possono condividere le basi di uno stesso umanesimo positivo e concreto.
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