martedì 9 luglio 2013
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Il gesto vero di papa Francesco nella visita a Lampedusa ci dà l’occasione, ancora una volta, di riflettere sul fenomeno insieme triste e creativo delle migrazioni dei popoli. L’uomo da sempre è in cammino per scelta o per necessità su questa Terra che è ovunque la sua casa. Spostandosi lascia tracce, costruisce incontri, dà vita a culture e civiltà. E civiltà non è pensiero solitario, ma confronto dialettico, per sua stessa natura creativo. Alcuni luoghi, "crocevia" naturali, si sono trasformati più facilmente di altri in spazi di civiltà. Basti pensare alle città storicamente più longeve, costruite sull’ansa di un fiume, nel luogo di meno arduo passaggio di una catena di monti, al centro di una vasta pianura o sulle riviere più abbordabili del mare o di un lago: si capisce in tutta evidenza da cosa sia scaturita la predisposizione naturale a diventare luogo di incontro e ad acquistare una centralità magari insperata. Sono nate così le grandi capitali del passato e nascono così le grandi aggregazioni urbane di oggi: Roma, Milano, Costantinopoli, Parigi, Londra, New York... Costruzioni di mattoni vivi, prima che di pietra, di uomini e di donne capaci di dare un afflato creativo anche alla terra più arida. Costruire insieme ha ovviamente anche dei costi. Costi che a una luce meno angusta di quella che illumina solo l’immediato, si rivela come l’investimento più grande che un popolo può fare. La storia mostra continuamente a chi la vuole leggere con attenzione, come i costi di una breve stagione possono trasformarsi in vantaggi competitivi, per anni e anni. Da questo punto di vista che cos’è l’Italia se non un lungo ponte proteso in quel Mar Mediterraneo che non ha mai smesso d’essere uno dei più rilevanti baricentri d’incontro tra nord e sud del mondo, tra est e ovest? Che cos’è questa Penisola se non il cuore vivo di una culla di civiltà, obbligata dal destino a farsi carico, ma anche a fruire del vantaggio un melting pot millenario? Perché non ci chiediamo mai da dove viene questa cultura, impressa nei cuori prima che nei marmi e nei sassi, che fa di tutto il nostro Paese una della meraviglie del mondo? E da dove viene un gusto del bello che si trasfonde in una sacralità naturale alla quale ci abbeveriamo ogni giorno e della quale l’Italia è testimone nel mondo? Si tratta del distillato di un’antica propensione all’incontro, della capacità di riconoscere come valore un meticciato culturale – ebbene sì – che oggi ci permette di seminare spore di bellezza ovunque. Ed è valore, questo, che ci viene riconosciuto e che ha un risvolto economico enorme. Oggi siamo di fronte a una grande sfida: quella di renderci consapevoli di vivere su quel 'ponte' sospeso tra due continenti gemelli, Europa e Africa, che sono obbligati dagli eventi a crescere (o morire) insieme. È un grave problema, ma anche la radice di un grande vantaggio competitivo spendibile certamente non nell’angusto tempo di una generazione. I vantaggi anche economici delle grandi migrazioni verranno certamente, come è stato nell’Europa antica ed è nell’America moderna, vantaggi economici preziosi per le prossime generazioni e che vanno fin d’ora individuati e fatti sbocciare per non abbandonarli ai biechi calcoli dei nuovi negrieri.
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