sabato 8 agosto 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Eccoci al fatidico sabato 8 agosto, ormai ri­battezzato il “giorno delle ronde”. E noi – sen­za ansie di pregiudizio – aspettiamo la prova dei fatti, consapevoli delle perplessità che già dalla terminologia usata un’iniziativa del genere può suscitare, ma anche di un particolare che, alla lunga, potrebbe rivelarsi positivo: la giornata di oggi, infatti, segna potenzialmente la fine della “sicurezza fai-da-te”. Anche se arriva attraverso un percorso che presenta ancora molte incognite e con esiti che andranno attentamente monito­rati. In realtà, la norma che entra in vigore – e, dun­que, dalle prossime settimane in sperimenta­zione – non si limita, a regolarizzare l’attività dei volontari che negli ultimi anni hanno preso a pattugliare le notti di città e cittadine della Peni­sola, ma ha – sulla carta – l’obiettivo di regolare queste iniziative, stabilendo una serie di princì­pi che sindaci (e assessori) dovranno osservare e far osservare. E le regole base – in forza del la­voro del Parlamento e del ministro Maroni, ol­treché del contributo trasversale di varie ammi­nistrazioni comunali – appaiono alla fine piut­tosto definite: per i “rondisti” niente armi, nien­te divise, niente retribuzione, niente macchie sulla fedina penale e nessuna militanza di par­tito, più un’adeguata formazione e (probabil­mente) un’opportuna certificazione di salute mentale. Volontari non potrà, insomma, fare ri­ma con paramilitari. Le forze dell’ordine non do­vranno vedersi penalizzate da un uso improprio delle risorse per la sicurezza. I partiti, in partico­lare quelli a forte vocazione localistica come la Lega Nord, dovranno resistere alla tentazione di farsi “milizia territoriale”. Gli interrogativi, come detto, non mancano. So­prattutto se, cammin facendo, dovesse riemer­gere la propensione di taluni poteri locali a in­terpretare in modo discrezionale e persino crea­tivo i limiti di legge e le ansie di sicurezza dei pro­pri amministrati. O se certi movimenti politici cercassero di rimetter cappello sui ”pattuglia­menti” e certi altri – la brutta eco degli scontri di Massa è ancora viva – ritenessero di contromo­bilitarsi. Come potrebbe accadere tutto ciò? Per esempio, se si lascerà che si giochi con i nomi. I nomi testimoniano la sostanza delle cose. E se non ci appassiona più di tanto la disputa tra chi parla di “rondisti” e chi di “osservatori”, ci inte­resserà – eccome – conoscere invece i nomi (e gli statuti) che le associazioni si daranno e che i Comuni accetteranno. Sono quei nomi pro­grammatici che aiuteranno a capire che cosa nelle diverse realtà si ha in mente di fare, con quali intenzioni e con quanta chiarezza di valo­ri civici. Sono quei nomi che consentiranno di cogliere se c’è un genuino spirito di servizio a co­munità insidiate da reati di forte allarme socia­le o se prevale una volontà di presa e di control­lo. In definitiva, è anche attraverso quei nomi che potremo renderci conto se, in Italia, si sta ar­ricchendo lo straordinario mondo delle inizia­tive di impegno gratuito e disinteressato “per” o minaccia di strutturarsi un pericoloso associa­zionismo “contro”. Ma proprio queste ultime considerazioni sug­geriscono, anzi impongono, un’ulteriore (e per noi niente affatto nuova) riflessione sul “reato di clandestinità” che, sempre da oggi, potrà esse­re contestato a coloro che si trovano irregolar­mente nel nostro Paese. Uno Stato ha diritto­dovere di stabilire le norme del vivere civile e del civile stare e restare nei suoi confini, e ha anche il compito di evitare che si consolidino situa­zioni di irregolarità e di abuso. Il “reato di clan­destinità” ha, però, in sé la carica negativa di un giudizio sommario e ingiusto. Non solo perché nessun essere umano può mai essere definito “clandestino” sulla faccia della Terra, ma perché nella concreta realtà italiana questo reato – l’ab­biamo raccontato e dimostrato, facendo crona­ca – rischia di diventare non un’arma contro l’ir­regolarità (di stranieri e italiani) bensì uno stru­mento persecutorio (perché rende più deboli e persino ricattabili) nei confronti di migliaia e migliaia di immigrati che abbiamo accolto nel­la nostra vita quotidiana, traendone piccoli e grandi profitti. La clandestinità viene agitata come reato verso chi insidia la sicurezza di tutti, eppure (nono­stante la sanatoria per colf e badanti, anzi anche per certe modalità di quella sanatoria) rischia di colpire duramente chi ha sinora cooperato alla tranquillità di tantissime famiglie . Gli appelli su questo punto – l’abbiamo capito – servono a po­co, perciò c’è solo da sperare che in Parlamento e nel governo si guardi senza paraocchi alla realtà. E che, anche qui, i fatti contino più di qualsiasi pregiudizio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: