martedì 19 aprile 2016
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E ora che non si butti il bambino con l’acqua sporca. E non si finisca per raccontarci che magari l’acqua sporca è meglio tenersela. Il risultato del referendum sulle 'trivelle' di domenica, numericamente non lascia dubbi su chi abbia vinto. Ma chi ha vinto davvero? E, soprattutto, cosa succederà ora? Cosa non dovrà succedere? Pur perdendo da un punto di vista dei voti, i promotori del referendum hanno ottenuto comunque un importante risultato. Anzi lo avevano ottenuto ancora prima dell’esito delle urne. Come 'Avvenire' ha spiegato più volte, il governo, sulla spinta delle firme raccolte, aveva deciso di modificare, quasi a svuotare, la parte del decreto 'Sblocca Italia' dedicato alle trivellazioni in mare. In particolare con lo 'stop' a nuove concessioni entro le 12 miglia dalla costa. A prezzo di una inedita (e inaudita) proroga automatica di quelle esistenti. Che, dopo l’esito di domenica, è purtroppo confermata. Nelle 48 piattaforme esistenti si continuerà a pompare gas e, molto meno, petrolio fino a esaurimento. Una grave scommessa sul futuro. Concessioni a vita, una opportunità che potrebbe però cadere sotto la scure dell’Unione Europea che con la direttiva Bolkestein ha, ad esempio, obbligato l’Italia ha rimettere in discussione e porre limiti alle concessioni demaniali sulle spiagge. Ombrelloni a tempo, dunque. E perforazioni già concesse a gogò. Un fatto su cui riflettere. Magari per provare a porre qualche correzione. Perché anche un risultato come quello di domenica non esclude miglioramenti della norma 'salvata' dalla maggioranza degli italiani col non-voto. Sarebbe un segnale importante anche in considerazione dell’altro rischio che il non-voto referendario potrebbe provocare. Il rischio che i 'vincitori' vogliano strafare. La bocciatura di questo referendum non può né deve voler dire la promozione o, addirittura, l’incentivazione della produzione di energia da fonti fossili, magari a discapito di quelle rinnovabili. Una tentazione da respingere, anche di fronte all’allettante calo dei prezzi degli idrocarburi. Sarebbe, oltretutto, la sconfessione di una politica energetica che ha portato le fonti rinnovabili al 40% delle produzione nazionale di elettricità, poco meno del gas che arriva al 45%, mentre restano ancora ben 13 'vecchie' centrali a carbone che coprono quasi l’intero 15% restante. Con questi livelli di rinnovabili siamo in testa in Europa, diamo un forte contributo alla riduzione delle emissioni di CO2, diminuiamo la nostre dipendenza dall’estero, sosteniamo un settore economico in forte espansione, favoriamo un’occupazione molto più promettente in termini quantitativi e qualitativi di quella delle produzioni da fonti fossili. Queste ci accompagneranno ancora per molti anni, ma davvero sarebbe una grave decisione rallentare l’espansione delle rinnovabili dopo l’esito del voto. Il premier Renzi, in campagna elettorale, ha promesso che l’Italia entro la fine della legislatura arriverà al 50%. Bene. Anzi, il Governo spinga ancor più l’acceleratore, senza la tentazione di voltarsi indietro. Sostenendo, per esempio, le vere rinnovabili diffuse e non quelle concentrate nei grandi impianti. Così come una seria e duratura politica di risparmio e di efficienza energetica. Perché la prima vera fonte di energia è consumarne meno e meglio. Su questi temi il Governo batta subito dei colpi senza farsi tentare dall’alibi dell’esito domenicale o dal pressing di chi ha contribuito a nascondere la consultazione e a dissimulare il suo (residuo) senso. Ma anche le Regioni non si limitino a una sterile schermaglia di rivendicazioni di competenze in campo ambientale. Affrontino piuttosto gravi inadempienze, come quelle su depuratori e rifiuti che hanno provocato dure condanne della Corte Ue e che il premier Renzi e il ministro Galletti rinfacciano loro. Soldi che stanno pagando tutti gli italiani. Dopo le polemiche in campagna elettorale è il momento della collaborazione. Le Regioni mettano mano ai servizi inefficienti, che provocano spreco di denaro e danni all’ambiente e alla salute. Ricordando di avere anche molte competenze in campo energetico, spesso dimenticate. Il Governo non sia tentato da stucchevoli rivalse, ma sostenga progetti e percorsi virtuosi nei nostri territori, offrendo sostegno e se necessario affiancando i poteri locali. Solo così si darà una risposta alla preoccupazioni del 'popolo inquinato' che è andato comunque al voto, come in Basilicata o a Taranto. Loro stanno già pagando sulla propria pelle errori e sottovalutazioni che hanno provocato tanta acqua e aria sporca. Forse il 'sì' al referendum non avrebbe cambiato la loro vita. Si faccia in modo che il non-voto non la peggiori.
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