giovedì 12 maggio 2016
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D a una parte e dall’altra, quindi, c’è un ribollire di progetti, prospettive, appelli propagandistici, attivazione di nuovi movimenti e invenzione di nuove forme di impegno. Come valutarle? Dato che siamo sul piano della politica, la prima valutazione non potrà che essere per l’appunto politica e quindi, inevitabilmente, provinciale. Questa però non è una critica, ma una delimitazione di campo: si combatte in Italia (nel Parlamento, nelle piazze, nei salotti, meno nelle parrocchie, per la verità) una battaglia che non è nata in Italia e che in Italia non si concluderà. Siamo di fronte agli esiti inevitabili (e non conclusivi) delle dinamiche della secolarizzazione, che hanno modificato e continuano a modificare radicalmente l’immagine della società civile, fondata sull’istituzione del matrimonio, che ha caratterizzato per secoli l’Occidente cristiano. Chi è convinto – come chi scrive, e come chi dirige e realizza questo giornale – che al di là di variabili tutto sommato estrinseche il matrimonio e la famiglia hanno un fondamento non meramente storico-politico, ma antropologico-strutturale, recepirà con sofferenza e preoccupazione gli stravolgimenti di cui l’uno e l’altra soffrono a causa della secolarizzazione. Ma si dichiarerà anche convinto che matrimonio e famiglia sono incredibilmente 'resistenti' e resilienti e che supereranno la prova della secolarizzazione, se è vero, come è vero, che il bene umano può essere aggredito e stravolto, ma non può essere vittoriosamente confutato o meno che mai definitivamente soppresso. Per chi invece è ottimisticamente convinto del contrario, gli anni che stiamo vivendo sono quelli di una colossale sperimentazione della possibilità di dar vita e consistenza a nuove relazioni interpersonali parafamiliari e a giochi senza frontiere, inevitabilmente e pesantemente funzionali al mercato, sulle frontiere della vita nascente e dell’utilizzazione (e frammentazione) dei corpi umani. La storia, di simili sperimentazioni, sia pure in altri ambiti (soprattutto economici) ne ha conosciute diverse, che non hanno prodotto altro frutto se non quello di folli esaltazioni per pochi, pochissimi, e di molteplici sofferenze per molti, moltissimi. Noi siamo chiamati a essere testimoni di una di queste sperimentazioni, forse la più estrema, anche se, per nostra fortuna, a basso portato di violenza diretta. Non possiamo distrarci: dobbiamo osservare, valutare, giudicare e, ogni volta che sarà necessario (e nel caso dell’affitto dei corpi di donna necessario già è), condannare in modo conclusivo e inappellabile le illusioni di chi pensa di poter prima decostruire politicamente e poi ricostruire ideologicamente il contesto della famiglia. Ma soprattutto, come questo giornale ha scritto e riscritto anche negli ultimi mesi, non possiamo che vivere in modo buono e giusto la famiglia. Nessuna legge, anche quella peggio costruita, può impedircelo, nessuna regola può chiuderci la via, nessuna norma – oggi come ieri – può davvero impedirci la resistenza, questa necessaria resilienza. Francesco D’Agostino © RIPRODUZIONE RISERVATA
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