sabato 7 novembre 2009
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Se immaginiamo l’economia mondiale come un vasto mare dove le singole nazioni navigano, affrontando ora tempeste, ora momenti di stagnazione e di bonaccia, ora venti favorevoli, niente come il famigerato "superindice" fornito mensilmente dall’Ocse rende meglio l’idea di uno scandaglio, laddove quota 100 rappresenta la linea di galleggiamento e i valori soprastanti e sottostanti designano rispettivamente un ciclo di crescita o una congiuntura negativa.Ebbene, nel mese di settembre il superindice mondiale è ritornato dopo lunghi cicli recessivi a rivedere la luce del sole. In particolare la performance migliore viene attribuita all’Italia, con punteggio 105,6, in compagnia della Francia (104,6), della Gran Bretagna (103,9, che perde così una posizione nella graduatoria dei Paesi più ricchi restituendo al nostro Paese il sesto posto nel mondo e il terzo in Europa), della Germania (101,9) e del Canada (101,8).In altre parole – che ci impongono tuttavia una doverosa cautela – sembrerebbero accentuarsi un po’ dovunque significativi segnali di ripresa, soprattutto per l’Italia, che secondo l’Ocse con un balzo di 10,8 punti rivela il più vistoso incremento su base annua tale da poter affermare che la nostra economia è in piena espansione. Il che non ci deve far dimenticare che il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è giunto al 10,2%, il più alto da 26 anni a questa parte, mentre quello europeo è del 9,5%, con la prospettiva di raggiungere il 10,7% nel 2010, mentre il debito pubblico italiano veleggia tuttora sopra quota 106% del Pil con l’ipotesi assai fondata di raggiungere un picco del 117% il prossimo anno.Se dunque tralasciamo per ora il pur giustificabile trionfalismo di alcuni e l’altrettanto accademica soddisfazione di altri per aver nuovamente superato nel prodotto interno lordo la Gran Bretagna o per la flessione del ricorso alla cassa integrazione, non possiamo non scorgere nella messe di finanziamenti deliberati ieri dal Cipe (maxi opere ma anche interventi di medie e piccole dimensioni per un valore complessivo di 8.655 milioni) un segnale che corre parallelo al trend di ripresa che si va profilando: che sia la Pedemontana lombarda – alla quale sono destinati 4.166 milioni –, piuttosto che l’avvio del ponte sullo Stretto di Messina (1.300 milioni), la messa in cantiere di queste opere rappresenta il meglio della lezione keynesiana sul deficit spending, l’impiego cioè del debito pubblico in investimenti produttivi, come strade, porti, aeroporti, ferrovie, infrastrutture. Ricetta che l’America ha osservato con successo fin dall’epoca del New Deal rooseveltiano confermandosi per lungo tempo la più forte economia del mondo.L’Italia però patisce – non da oggi – il duplice cappio di un eccesso di regole e di norme e un corrispondente dilagare dell’illegalità. Due malattie sistemiche che insieme hanno l’effetto di frenare sia la ripresa sia la crescita. Se cioè il peggio della grande crisi iniziata nel 2007 si può considerare alle nostre spalle, è altrettanto vero che oggigiorno l’obiettivo da perseguire non è soltanto quello di tagliare le spese improduttive e di favorire le grandi opere, ma quello di aprire davvero un "cantiere Italia" dove si metta mano – come la Commissione di Bruxelles raccomanda a tutta Europa e il capo dello Stato suggerisce a tutte le forze vive del Bel Paese – a quelle riforme non più prorogabili proprio perché strutturali: dal welfare sostenibile alle politiche di bilancio, dal mercato del lavoro alla spesa sanitaria. Questo ci impone l’onda nuova della ripresa economica, ora che finalmente – a quanto dicono i numeri – stiamo tornando a galla.
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