Oltre il contagio antipolitico. Forse
mercoledì 11 marzo 2020

L’antipolitica potrebbe essere la principale vittima del coronavirus. Ma perché questo accada occorre che la politica torni a essere sé stessa, favorendo in primo luogo il ristabilirsi di un autentico rapporto di fiducia fra i cittadini e le istituzioni. È quello che è mancato in questi anni, ed è quello di cui più si è sentita la mancanza nei giorni in cui l’emergenza si allargava senza che all’aggravarsi della situazione corrispondessero forme adeguate di comunicazione istituzionale. Il punto più critico, com’è noto, si è avuto sabato scorso, con l’inqualificabile e quasi incredibile anticipazione dei provvedimenti che, da lì a poche ore, sarebbero entrati in vigore in Lombardia e nelle altre Province della cosiddetta “zona arancione”.

Un incidente gravissimo, che è stato all’origine, tra l’altro, dell’improvvisata fuga di massa dalla quale è dipesa, almeno in parte, la decisione di estendere le norme di sicurezza all’intero Paese. La conferenza stampa con quale, nella serata di lunedì, il premier Giuseppe Conte ha annunciato le nuove disposizioni ha rappresentato un miglioramento, sia per quanto riguarda la chiarezza delle informazioni (poche, essenziali, non contraddittorie), sia per il tono complessivo, improntato a una serietà priva di cedimenti allarmistici. Così, probabilmente, sarebbe stato meglio che si fosse fatto fin dall’inizio, ma di sicuro così occorre fare d’ora in poi, evitando – per esempio – la divulgazione estemporanea di proposte sia pure condivisibili come quelle avanzate dalla Regione Lombardia: parlare in diretta televisiva della chiusura di tutti gli esercizi commerciali e aggiungere solo in seconda battuta che dalla serrata resterebbero comunque escluse le rivendite di alimentari e le farmacie significa purtroppo accrescere il rischio dell’incomprensione, con conseguenze non difficili da immaginare. Si è detto e ripetuto che questa è la prima grande emergenza sanitaria nell’epoca dei social network. Fuori contesto, però, un’affermazione come questa finisce per risultare irrilevante.

Le stesse istituzioni hanno tardato ad ammettere che, a fronte di una crisi come l’attuale, la comunicazione non può mai essere separata dalla gestione della crisi e che ogni passo falso compiuto in ambito comunicativo comporta ripercussioni incalcolabili sul campo. C’è un problema immediato, che riguarda appunto il circolare di informazioni contrastanti e spesso deleterie: maggiore è la perdita di autorevolezza da parte delle fonti istituzionali, infatti, maggiore è la forza di suggestioni esercitata dal pulviscolo di menzogne e, peggio ancora, di notizie semivere, che proprio nelle reti sociali trovano un terreno di diffusione particolarmente permeabile. Il pericolo da scongiurare non è soltanto quello – peraltro temibile – del procurato allarme. In una fase cruciale come questa che stiamo vivendo, diventa essenziale evitare che sia ulteriormente intaccata la credibilità delle istituzioni. Su questa base di sfiducia, come sappiamo, nei decenni scorsi hanno prosperato le istanze dell’antipolitica, del “non ce la raccontano giusta”, del “ci nascondono la verità”.

La politica avrebbe dovuto ascoltare di più le insicurezze del Paese, avrebbe dovuto mostrarsi più sensibile verso le voci della società civile. Lo dimostra in modo inappellabile il caso delle carceri italiane, il cui stato di insostenibilità era stato più volte denunciato da operatori e osservatori, messo a tema e in un testo di riforma divenuto inapplicata legge delega da un ministro della Giustizia (Andrea Orlando), ma non era mai riuscito a entrare veramente nell’agenda della politica. Le rivolte alle quali stiamo assistendo sono il segno di un fallimento che, se non evitato del tutto, avrebbe potuto almeno essere contenuto e reso meno devastante. Non è troppo presto per fermare il coronavirus e non è troppo tardi per recuperare il prestigio del quale le istituzioni hanno bisogno per fare appello al senso di responsabilità dei cittadini. Una missione essenziale, questa del dare volto e credibilità alla convivenza politica, che per troppo tempo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è trovato a svolgere in un forzato, sofferto isolamento.

Anche in questo, il capo dello Stato non può più essere lasciato solo. Dal Governo cominciano ad arrivare segnali incoraggianti, lo ripetiamo, ma siamo ancora agli inizi di un percorso che si annuncia tanto complesso quanto irrinunciabile. D’accordo, questa non è una guerra. Di sicuro, però, in un futuro che speriamo imminente, ci sarà una ricostruzione da avviare. E questa volta le istituzioni non potranno più permettersi lo scetticismo dei cittadini. Fiducia e stima vanno ristabilite adesso, altrimenti il contagio dell’antipolitica non si estinguerà.

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