mercoledì 27 giugno 2012
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Il significativo numero di obiettori, in ambito sanitario ed esercente le attività ausiliari, è stato assunto da alcuni come giustificazione per voler modificare, o comunque rideclinare, il ricorso all’obiezione di coscienza. Tale progetto si manifesta con affermazioni del tutto singolari, quali ad esempio: «Nel dibattito sull’obiezione di coscienza non viene quasi mai messo in discussione il principio che gli operatori sanitari possano rivendicare un diritto all’obiezione di coscienza», oppure «il buon medico non obietta».La questione non è formale, ma sostanziale. Tralasciando le riflessioni critiche, che potrebbero essere molteplici, va prima di tutto ricordato che l’obiezione di coscienza ha fondamento costituzionale in quanto espressione della tutela che l’ordinamento costituzionale stesso riconosce alla libertà individuale. Il tentativo di modificare il ricorso all’obiezione di coscienza, rimodulando applicazioni o ridefinendo le procedure di assunzione del personale sanitario, rappresenta un’operazione assai pericolosa e uno snodo fondamentale nel rapporto tra cittadino e Stato. È evidente che anche questo tema è motivo di conflittuali contrapposizioni. A partire dall’abusato ricorso alla radicalizzazione di posizioni, come ad esempio 'cattolici contro laici' e viceversa. Con i primi che sarebbero qualificabili per una posizione identitaria confessionale e i secondi per un approccio razionale. Un’antitesi, questa, manichea e inappropriata già alla luce di un’analisi appena accorta e argomentata. Per questa via sbagliata si vorrebbe ricondurre a una contrapposizione tra cattolici e laici anche il tema dell’obiezione di coscienza. Eppure, risulta evidente, se non si è prigionieri di preconcetti e di pregiudizi ideologizzati, che il dibattito sull’obiezione di coscienza così impostato non regge. Obiettare non è forma di 'dissenso' che possa essere aggettivata o rappresentare patrimonio di una parte sola. L’obiezione di coscienza è inscritta nella natura di ogni uomo. L’obiezione di coscienza (dal latino ob-jactare), regolamentata da leggi dello Stato, non rappresenta un atteggiamento antigiuridico di disobbedienza. Concretizza il rifiuto di compiere atti prescritti dall’ordinamento (legge positiva) ma contrari alle proprie convinzioni, ovvero un rifiuto per motivi interiori. Lunga, emblematica ed eroica la storia dell’obiezione di coscienza che ha avuto la sua più conosciuta espressione letteraria in Antigone che si rifiuta di obbedire a Creonte, in nome delle leggi non scritte (agrapha dogmata) della pietà e della giustizia. Per Jacques Maritain, con Antigone si incarna l’idea del diritto naturale, ossia la coscienza che vi è «un ordine o una disposizione che la ragione umana può scoprire e secondo la quale la volontà umana deve agire». L’obiezione di coscienza non si limita né si esaurisce nella semplice negazione di ossequio a una legge. Non può essere considerata semplicemente come atto negativo o mero rifiuto. Rappresenta una testimonianza (pro-testa) a favore di una verità più grande e maggiormente vincolante rispetto a quanto una legge positiva possa definire. È il riconoscimento di valori non riducibili ed esige la salvaguardia da penalizzazioni. È un argine all’indifferentismo morale. Riformulare o emendare l’obiezione di coscienza, anche per via procedurale, significherebbe svuotarla progressivamente nel tempo (slippery slope) fino alla inconcludenza, rubricandola come moralista o irragionevole, e per tale motivo da limitare e conculcare. Difendere l’obiezione di coscienza è una risposta dovuta alla deriva culturale ed etica che vorrebbe rendere l’aborto moralmente indifferente, «come se la liberalizzazione giuridica si risolvesse di per sé nella liberalizzazione morale», ricordava a tutti Norberto Bobbio.
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