venerdì 5 aprile 2013
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​Il terremoto dell’Aquila è avvenuto il 6 aprile 2009, nella notte tra la domenica delle Palme e il lunedì della Settimana Santa e ha colorato di sé quest’ultima, diventata settimana di passione unica nella storia della città, ripiegandola sul dolore, sul lutto, sui corpi da seppellire; su una Pasqua di Resurrezione in cui non risorgevano quei poveri morti ed ogni accento gioioso pareva stonato. Era la prima Pasqua dopo la sottrazione della città ai suoi abitanti, cinque giorni prima precipitosamente fuggiti dalle abitazioni pericolanti: un esodo biblico di centomila persone, ricoverate, di necessità, alla meno peggio negli alberghi delle aree d’Abruzzo o delle regioni limitrofe lontane dal sisma. Non splendevano le luci della festa, quattro anni fa; nessuna Parasceve o preparazione alla gioia in arrivo. La vita lasciava la città. Per i suoi abitanti, allontanati a forza dal luogo dei propri affetti, delle proprie abitudini, della propria esistenza, si apriva il lungo esodo; il fiume Aterno e i suoi affluenti che lambiscono la città diventavano i fiumi di Babilonia, dove sforzarsi di non restar seduti a piangere, ricordando l’esistenza di prima. Il quarto anniversario del terremoto ricorre nella notte tra venerdì e sabato, con la Pasqua alle spalle oramai, sicché non si dovrà far violenza al proprio stato d’animo per fingere una festa. In sintonia con ciò, il cielo è stato cupo, corrusco, con scrosci di pioggia; e a ottocento metri d’altezza, sull’altopiano, quando la primavera non esplode, l’inverno si riappropria subito del calendario. È stata inoltre una Pasqua Bassa, arrivata presto e per secoli temuta nelle tradizioni contadine come foriera di tarde gelate e di cattivo raccolto. Meno male che sono stati buoni gli auspici del volo dei colombi nelle processioni pasquali, tra cui quella, famosissima, che nell’Aquilano si svolge a Sulmona, "della Madonna che scappa in piazza", cioè della statua della Madonna in gramaglie portata a spalla, dapprima con passo mesto, poi con corsa gioiosa, verso la statua del Figlio risorto che ha visto riapparire – splendida, struggente tradizione popolare, che riscrive una pagina strappata al vangelo di resurrezione, quale l’umanità attende di leggere da duemila anni; e nel 2013 i colombi, liberati dalla caduta del manto nero della Madonna, hanno preso la direzione del buon raccolto. Così sia per L’Aquila. Senza illusioni di mietere presto un raccolto – saranno annate lunghe – ma riprendendo almeno la semina della buona speranza. Molti segnali purtroppo sembrano contraddirla. L’Italia è in affanno. Quattro anni dopo il G8 e le promesse fatte dalla politica (con tempi offensivi per ogni realismo), la nave-Italia fa acqua, rollando paurosamente senza timone; l’intero mondo occidentale naviga in acque tempestose; il vagheggiato cantiere-modello per rendere riabitabile uno dei centri storici più estesi d’Italia è finito sullo sfondo; a ciò va aggiunto che col terremoto dell’Emilia altre realtà, dall’importante tessuto connettivo di produzione, legittimamente concorrono per i fondi relativi alla ricostruzione; L’Aquila deve prendere atto che s’è terremotato mezzo mondo, economicamente e socialmente parlando, oltre al suo, sicché la ricostruzione sarà più lenta e difficile. Cosa le resta dunque? La lotta. Affidandosi a un aiuto dell’Alterità, per ritrovare forza, fisica e psicologica, quando così problematico sembra il quadro delle vicende terrene. Perchè il terremoto non ha fiaccato lo spirito di questa che fu la terra di Celestino V, il papa – tanto spesso citato in questo periodo – qui incoronato e seppellito, sette secoli fa. Non ha fiaccato la città raccolta intorno alla predicazione di san Bernardino da Siena, qui sepolto dal 1444. Questi grandi riposano nelle basiliche aquilane di Collemaggio e di San Bernardino e qualcosa già ci fa intravvedere che le radici spirituali dell’Aquila ridaranno linfa alle forze attive per la sua ricostruzione e che un giorno – forse non prossimo – essa ritornerà abitabile; ritornerà in sé, perchè è troppo grande e forte e magica e santa per finire, o per eclissarsi da sé. Questo quarto anniversario non è pasquale, non è di primavera. Ma, clima a parte, non sarà l’inverno del nostro scontento. Indifferenti al terremoto, i mandorli già stanno rifiorendo quassù. Nessun inverno, nessuna Pasqua Bassa potranno impedire al tempo del sorriso di tornare.
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