venerdì 12 aprile 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
La coincidenza tra una giornata straor­dinariamente positiva per l’andamen­to delle quotazioni della Borsa italiana (e spagnola) e il collocamento di titoli di Sta­to e l’acido giudizio delle autorità europee sulla permanenza di un rischio di conta­gio che proverrebbe dalla situazione di bi­lancio italiana ha suscitato interrogativi e sospetti non privi di fondamento. Mario Monti ha risposto con nettezza, che non dissimula il fastidio per insinuazioni infon­date, che quel pericolo di «contagio» non esiste, e lo ha potuto fare con maggiore au­torevolezza in base ai dati contenuti nel Documento di finanza pubblica appena e­laborato dal governo. D’altra parte è nota la tendenza dei mer­cati internazionali (in cui sono fisiologica­mente presenti componenti speculative) a enfatizzare le situazioni di pericolo, san­zionandole in modo più che proporziona­le, com’è accaduto anche per i titoli pub­blici italiani nell’ultimo biennio. In questa fase, però, i mercati non hanno affatto e­spresso una tendenza punitiva, al contra­rio lasciano trapelare un certo ritorno di fiducia, il che porta inevitabilmente a con­siderare l’arcigno atteggiamento dell’eu­rocrazia come una scelta di carattere poli­tico, non fondata su argomenti economi­ci di una qualche consistenza.Le doman­de che nascono spontaneamente riguar­dano le ragioni di questo atteggiamento e che cosa si può fare per contrastarlo. In un recente passato le critiche provenienti dal­l’estero e soprattutto da Bruxelles sono sta­te elemento di divisione e di polemica an­che aspra tra le forze politiche di governo e di opposizione in patria, ma dopo che le principali formazioni hanno condiviso la responsabilità di un risanamento a tappe forzate gestito del governo tecnico, ha pre­valso almeno a parole la comune inten­zione di sfruttare la condizione di equili­brio raggiunta per promuovere misure per la crescita. Non è poco, anzi è già una ba­se importante.Un’interpretazione ancora più rigoristica della linea di rigore già accettata dall’Ita­lia, come quella che traspare dall’atteggia­mento delle autorità europee (ma non della Banca centrale), impedirebbe infatti di aprire qualsiasi spazio per uscire dal­la recessione, per evitare di da­re un carattere strutturale alla disoccupazione crescente. Si direbbe, però, che l’eurocrazia, che ha conquistato un vasto potere esercitando la funzione di cane da guardia del rigore imposto soprattutto dalla Ger­mania, intenda non mollare la presa, nonostante sintomi me­no pesanti dai mercati, per mantenere questa condizione gerarchica. Forse sullo sfondo c’è lo scontro sordo tra la Ban­ca centrale europea, che avrebbe interes­se a non separarsi dalle scelte espansive delle 'sorelle' americana e giapponese, e i governi più 'rigoristi' – a cominciare da quello di Berlino che si prepara a una ve­rifica elettorale – che insistono su una rap­presentazione forzata (ma gradita agli e­lettori) di un’Europa meridionale di 'spen­daccioni' che vorrebbero essere mante­nuti dai laboriosi tedeschi e dagli altri nor­dici. L’Italia ha molte ragioni per rivendicare ri­spetto per gli sforzi che ha compiuto e fi­ducia nella solidità dei suoi fondamenti e­conomici. Se le forze politiche responsabili, che condividono questo obiettivo, ne fa­cessero l’asse di una azione convergente, sulla quale valutare i caratteri che dovrà a­vere il nuovo quadro politico e di governo, sarebbe probabilmente più facile sconfig­gere l’iper-rigorismo punitivo e condurre una battaglia unitaria per evitare l’inter­pretazione jugulatoria del Fiscal Compact e per riformarlo ridando fiato a tutta, ma davvero tutta, l’economia europea. Non sono in effetti molti gli obiettivi che pos­sono accomunare, per un tempo dato, se­condo il classico schema delle «larghe in­tese », le minoranze che oggi abitano la no­stra scena politica, questo è certamente u­no di essi. ​
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: