martedì 28 aprile 2009
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Cento giorni così ambiziosi, secondo gli osservatori, non si vedevano dal primo mandato di Ronald Reagan. O, addirittura, dall’esordio di Roosevelt nel mezzo della Grande Depressione. Nella prima frazione del suo mandato, quella che tradizionalmente si prende come indicativa di una presidenza, Barack Obama ha cercato di rovesciare il national mood, il clima del Paese, dando un taglio netto con la linea Bush e giocando una partita tanto ardita quanto rischiosa. Alle prese con la crisi economica, la Casa Bianca ha ottenuto l’approvazione del piano di stimolo da 787 miliardi di dollari, con i correlati interventi a favore del settore creditizio e abitativo, il progetto di riacquisto privato con fondi pubblici dei titoli tossici e le nuove, severe regole per Wall Street, inclusa la guerra, dal sapore un po’ populista, ai bonus per i top manager. Il progetto di salvataggio per l’industria dell’auto vive proprio in queste ore la sua prova del fuoco, mentre al Congresso presto arriverà la proposta presidenziale per l’epocale riforma dell’assistenza sanitaria, universale e gratuita. Ma Obama sta mettendo anche le basi per la «rivoluzione verde», con lotta a emissioni inquinanti e progressivo passaggio alle fonti energetiche alternative, una sfida alle potenti lobby industriali, di cui vuole comunque ridurre l’influenza sul governo con norme stringenti per la loro azione. Un pacchetto complessivo che potrebbe consacrarlo il leader capace di portare l’America – e dunque il mondo – fuori dalla recessione, così come condannarlo a velleitario seguace delle politiche keynesiane di deficit di bilancio. Un riformatore visionario o un socialista fuori tempo, in base alle definizioni più partigiane adottate da sostenitori e critici, sebbene sul versante economico ci vorrà tempo prima di poter emettere il verdetto definitivo. Svolta decisa anche sul fronte internazionale. Il ritiro dall’Iraq era più che annunciato e già metabolizzato dall’opinione pubblica, la scelta di concentrarsi sull’Afghanistan non è altrettanto popolare in un Paese che continua a vedere rientrare in patria salme dei suoi soldati. A sorprendere sono state le aperture, più o meno caute, ai 'nemici' dell’era repubblicana, dall’Iran di Ahmadinejad alla Cuba di Castro, fino alla stretta di mano con Chavez. Significative anche le 'scuse' rivolte all’Europa per l’unilateralismo Usa, che gli sono costate accuse di tradimento in casa propria. Persuasione più che minacce, la cifra del nuovo approccio estero di un Obama che tende la mano al mondo islamico e fa mea culpa per le torture, rivelando i protocolli segreti delle agenzie di intelligence. Tuttavia, non ha esitato a ordinare un blitz delle truppe speciali contro i pirati somali, per segnalare che l’America non è diventata arrendevole nel difendere i propri interessi nel mondo. Scommesse che attirano simpatia, senza però garanzie di successo. La partita con Teheran e la questione pachistana sempre più calda richiedono una strategia precisa che ancora non si vede all’orizzonte. Il gradimento e il carisma personale del presidente che ha il coraggio di chiedere scusa, di dire 'ho sbagliato' (come per la nomina del ministro della Sanità Daschle, poi costretto a rinunciare) restano alti e forti. Il vero test verrà dai secondi cento giorni (i primi scadono domani), in cui il volto liberal di Obama (quello, tra l’altro, che l’ha messo in urto con la Chiesa cattolica americana per aborto e ricerca sugli embrioni) non godrà più dell’'effetto Bush'. I valori di moralità e responsabilità della classe media lavoratrice, che la Casa Bianca vuole riportare al centro del sentimento nazionale dopo gli eccessi della finanza avida e corrotta, possono confliggere con la neutralità – se non il favore implicito – verso alcune materie controverse già all’ordine del giorno: legalizzazione delle droghe leggere, matrimoni gay e altri temi bioeticamente sensibili. Molti cantieri aperti sono altrettanti rischi di sconfitte, se l’edificio non viene completato. Barack Obama ne è, ovviamente, consapevole. Ma l’audacia è il segno della sua avventura, come il titolo della sua autobiografia. Fra non molto sapremo se della speranza o della disillusione.
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