sabato 13 giugno 2009
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La fine delle lezioni vede la scuola italiana alle prese con i problemi strutturali di sempre, ma anche forte della sua enorme, persistente vitalità che, a dispetto degli scenari catastrofici delineati ormai quasi per consuetudine dagli opinionisti, le consente di essere ancora un punto di riferimento importante per tanti ragazzi e le loro famiglie. Chi scrive è reduce da una cerimonia di saluto delle ultime classi in un liceo, da cui moltissimi alunni e alunne sono usciti con i lucciconi agli occhi, abbracciando i loro professori. Tanti di loro hanno mormorato soltanto: «Grazie». Non è una scena tratta dal libro Cuore. Chi nella scuola ci vive davvero sa che le semplificazioni in negativo – come del resto quelle in positivo – sono il frutto perverso di un’informazione che troppo spesso enfatizza singoli casi traumatizzanti, misconoscendo le luci e le ombre reali di un ambiente complesso variegato com’è il mondo scolastico. Il punto è che nella scuola, come e più che in ogni altro ambito, è decisivo il fattore umano. Non c’è riforma che possa sostituire insegnanti motivati e competenti, dirigenti che non si riducano ad essere puri manager aziendali, famiglie attente e partecipi, personale Ata consapevole del proprio ruolo educativo, alunni disponibili. Da troppo tempo ci si illude che la salvezza debba venire dal ministro di turno. L’opinione pubblica, lo stesso personale scolastico, hanno finito spesso in questi anni per trovarsi nella situazione allucinante dei personaggi di Aspettando Godot, inchiodati a un angolo di strada nell’attesa demenziale di un 'messia' da cui essi non sanno neppure bene cosa aspettarsi e che forse non verrà mai. Non vogliamo, con ciò, sottovalutare la sfera giuridico-strutturale e, di conseguenza, il ruolo dei governi e della politica. Ma tutto questo, per quanto fondamentale, fornisce lo spartito. È l’orchestra, poi, a suonare la musica. E l’orchestra sono gli esseri umani in carne ed ossa, che devono interpretare le leggi e le circolari, in un contesto spesso molto difficile, in una situazione logistica spesso problematica, per trarne qualcosa che somigli a un’armonia. Potrà sembrare strano, ma molti ancora ci riescono, ed è a loro che questa fine di anno scolastico va innanzi tutto dedicata. Dicevamo delle riforme strutturali e della necessità di non sottovalutarle. È ancora recente l’eco della 'stretta' che, proprio su questo piano, ha portato a una maggiore severità sul piano disciplinare, con effetti sicuramente benefici per il clima delle nostre scuole. È di ieri, invece, l’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, del riordino dei licei proposto dalla Gelmini, sia pure ancora nella forma di una 'prima lettura' che dovrà essere ulteriormente precisata e messa a fuoco. Fonti ministeriali (secondo le agenzie, almeno) parlano di una riforma epocale, che segnerebbe uno stacco netto rispetto a quella di Gentile del 1923. Si sottolinea, a questo proposito, il fatto che, rispetto ai 396 indirizzi sperimentali attualmente vigenti, si prevedono adesso soltanto sei licei, spazzando via una congerie di percorsi che effettivamente creavano una notevole confusione e rendevano problematica una valutazione omogenea dei titoli di studio. 'A caldo', però (e riservandoci una più completa disamina del testo), non si può non avere l’impressione che si tratti di una valutazione esagerata. Se non altro perché il numero dei licei previsto dalla riforma Gentile è sempre stato molto ridotto e quelli che ora verrebbero aboliti sono soltanto i troppo numerosi esperimenti che di fatto ne avevano frammentato il funzionamento. Anche l’introduzione dello studio della lingua straniera nel biennio non fa altro, in realtà, che confermare una prassi ormai largamente diffusa in tutta Italia. La vera novità – estremamente opportuna – è il rafforzamento delle materie scientifiche. Scelte ragionevoli, insomma, sulla linea di una tradizione, senza svolte rivoluzionarie. Ma siamo poi così sicuri che la nostra scuola abbia bisogno di una rivoluzione?
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