sabato 16 novembre 2013
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Ma che cosa potevamo aspettarci dall’Unione Europea? Una promozione della legge di Stabilità più instabile che si sia mai vista? Neppure un atto di fede cieca nelle capacità di noi italiani di cavarcela sempre, avrebbe potuto convincere un qualsiasi osservatore esterno della solidità di questa manovra, dell’affidabilità della nostra classe politica. E infatti, al primo esame preventivo delle leggi di bilancio secondo le nuove regole comunitarie, i commissari europei l’hanno, se non proprio bocciata, quantomeno “rimandata” sottolineando tre questioni: la crescita del debito, l’incertezza sulla possibilità di mantenere il deficit entro il 3% e la necessità di operare un aggiustamento di almeno mezzo punto di Pil l’anno prossimo, per avvicinarsi all’obiettivo del pareggio di bilancio.La manovra presentata dal governo era nata già fragile. Tanto ricca di buone intuizioni e intenzioni, come il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, quanto povera di strumenti per raggiungere quegli stessi obiettivi: con cifre indefinite e testi provvisori per giorni. Partorita dopo un’estenuante stagione di discussioni e compromessi sulla revisione dell’Imu – totem al quale il centrodestra fin dalla campagna elettorale ha deciso di sacrificare tutto, anche a costo di impiccarvi l’intero Paese – la legge di Stabilità ha scontato da subito la mancanza di un “padre” forte per proteggerla e di una “madre” che l’accudisse. Figlia di nessuno, tranne che di un presidente del Consiglio tanto apprezzato all’estero quanto malsupportato da settori importanti del suo partito, il Pd, e di un ministro dell’Economia (tecnico) sottoposto ad attacchi quotidiani dall’altro grande partito della “larga coalizione”, il Pdl, in una costante opera di delegittimazione. Gli “assalti alla diligenza” delle leggi finanziarie, infatti, sono un classico sia della Prima sia, purtroppo, della Seconda Repubblica. Ma mai si era assistito a una così pervicace opera di demolizione di una manovra economica da parte di quelle stesse forze di maggioranza che avrebbero dovuto costruirla in concreto in Parlamento. E, ciò che è assai più grave, non per questioni tecniche o di diversa strategia economica (come sarebbe legittimo per quanto non auspicabile). Ma quasi sempre per questioni puramente politiche, meglio: di interesse di parte. Gli uni volti a condizionare il futuro della legge e del governo stesso alla decadenza di Silvio Berlusconi; gli altri impegnati in giochi e giochetti di posizionamento per la conquista della segreteria del partito; e altri ancora così divisi sul piano personale da sottostimare il danno provocato al Paese e alla loro stessa credibilità. Una fiera dell’irresponsabilità, un gioco al massacro. L’addensarsi, di nuovo, di un grande “partito della crisi” che invece di cercare un “minimo comun denominatore” per governare il cambiamento si esercita nello scatenare il “massimo divisore possibile”. Un grande “partito della crisi” anche mediatico che, dopo i primi pronunciamenti, si conferma ora – per visioni ambizioni non sempre trasparenti e/o disinteressate – ansioso di distruggere, (forse) convinto di poter ricostruire con nuove leve, e incredibilmente incurante del peso delle macerie prodotte, dei veleni introdotti nel sistema. Un «avvelenamento» che il presidente Giorgio Napolitano non si stanca di denunciare, con toni sempre più accorati. Su questa via, certo allora che il debito non scende – come sottolinea la Commissione europea – certo che non si è sicuri di rispettare il 3% di deficit/Pil e figuriamoci, poi, le riforme strutturali per avvicinarsi al pareggio di bilancio... Oggi nessuno è ancora in grado di prevedere se entro un mese dovremo pagare la seconda rata dell’Imu, mentre non passa giorno che dalla strana maggioranza non ci venga propinata una nuova strana versione di imposizione: Trise, Tarsi, Tari e poi Tuc e via inventando...Il governo ha le sue responsabilità in questa confusione generale, ma fa quel che può, quel che gli lasciano fare... Tutto ciò che l’implosione dei partiti delle larghe intese gli consente, procedendo senza mappa in un terreno minato, fra vincoli finanziari oggettivi e l’impossibilità di compiere scelte strutturali in una direzione o nell’altra.Ieri, abbiamo pagato il primo prezzo – assai caro – all’irresponsabilità politica perdendo la possibilità di iscrivere “fuori bilancio” alcuni investimenti utili per agganciare la ripresa. Domani, non vorremmo perdere anche quel poco di credibilità internazionale che abbiamo riconquistato, a forza di fatica e sacrifici, e quella crescita che pur debole s’intravvede all’orizzonte, ripiombando così nel baratro della stagnazione e della recessione. Ma non c’è decadenza, né ambizione di giovani politici, né velleità personali che possano giustificare questa strategia dello sfascio. Il “tanto peggio tanto meglio” è inaccettabile, e può fare solo male a tutti. A questa “politica”, che se ne renda conto o meno, in modo mortale.PS La coraggiosa decisione di Angelino Alfano e delle cosiddette “colombe” del Pdl di non seguire la rotta rovinosa dei “falchi” berlusconiani è un primo chiaro segno di rifiuto della strategia dello sfascio. Va tanto più sottolineato e apprezzato in un “venerdì nero” come quello di ieri.
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