giovedì 1 novembre 2012
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​Dieci anni, ventisette piccole vittime, una scuola venuta giù come carta velina. Eppure non basta, non è bastato. Già, è terribile e assurdo doverlo dire, ma nel decennale del terremoto che accompagnò il colpevole crollo della scuola molisana di San Giuliano di Puglia, siamo ancora alle briciole per la messa in sicurezza di quegli edifici ai quali, con fiducia, affidiamo ogni mattina i nostri figli. Proprio il dramma della "Francesco Jovine", venuta giù alle 11,32 del 31 ottobre 2002, sotto il peso di una sopraelevazione costruita fuori legge, aveva fatto emergere la fragilità degli edifici scolastici italiani. Soprattutto i 2.700 nelle aree ad alto rischio sismico e i 21mila in quelle a rischio medio.Scuole fragili e vecchie: più del 60% degli edifici scolastici italiani, in aree sismiche o no, sono stati costruiti prima del 1970 e solo l’8% negli ultimi vent’anni. Proprio in quei terribili giorni, attorno a quell’edificio accartocciato, accanto alle 27 bare bianche e a quella della loro maestra Carmela, nacque l’impegno a far sì che, come aveva implorato Nunziatina, mamma del piccolo Luigi, «le nostre scuole siano più sicure perché altre mamme e altri papà non debbano soffrire come noi». A mettersi in gioco gli uomini della Protezione civile di Guido Bertolaso, non ancora colpita dallo scandalo della "cricca". Gli stessi uomini accorsi per provare a salvare, con la professionale efficienza dei soccorsi, i piccoli di San Giuliano (31 furono tirati fuori salvi dalle macerie...), si impegnarono per provare a salvare, con altrettanto efficiente e professionale prevenzione, altre piccole vite.Nacque così la nuova mappatura del rischio sismico, le nuove norme tecniche di costruzione nelle zone a rischio e un piano straordinario per la messa in sicurezza delle scuole nelle aree sismiche. Servivano 4 miliardi, ma alle fine in dieci anni, tra tagli dei fondi e trasferimenti su altri capitoli ritenuti "più urgenti", si sono trovati solo alcune centinaia di milioni e le scuole messe in sicurezza non sono state più del 15 per cento. E non di rado il Patto di stabilità impedisce anche di spendere le ultime "briciole" di quelle risorse. Viene da chiedersi – e da chiedere al presidente Mario Monti – se non si potrebbe decidere una ragionevolissima deroga al Patto per la sicurezza dei nostri figli.Ma c’è dell’altro. Ironia della sorte, proprio gli uomini della Protezione civile che tanto si erano spesi per la messa in sicurezza delle scuole italiane – dopo il dramma di San Giuliano – sono finiti sotto accusa e condannati nel processo alla Commissione Grandi rischi (non avrebbero messo adeguatamente in allerta la popolazione dell’Aquila dopo lo sciame sismico che aveva preceduto il "botto" della notte del 6 aprile 2009).Intanto, a ogni terremoto, sono continuati crolli e lesioni delle scuole dei nostri figli: da quelle abruzzesi a quelle emiliane. E meno male che le scosse sono arrivate di notte e non alle 11,32 del mattino, come purtroppo accadde a San Giuliano. Ma crolli ci sono stati anche senza terremoti, come il 22 novembre 2008 a Torino, quando al liceo Darwin morì il giovane Vito Scafidi (ancora una volta solo dopo la sua morte si trovarono altri fondi per la sicurezza...).Lo abbiamo scritto più volte e non finiremo mai di dirlo: non è il terremoto che uccide ma la casa – e ovviamente la scuola – che ci cade addosso. Non uccide la natura ma il pessimo rapporto con essa. I morti per terremoto, frane, alluvione, incendio, sono il prodotto di questa incapacità. Le colpe sono ben individuabili, anche senza processi. Alcuni dei quali – come quello alla Commissione Grandi rischi, non ce ne vogliano i magistrati – risultano almeno discutibili se proprio contro il "bersaglio sbagliato". Il bersaglio giusto, i veri colpevoli, è la logica delle sottovalutazioni e dei rinvii, è la memoria corta anche dopo tante, troppe morti. E non c’è allarme che tenga se, poi, gli edifici non resistono.La soluzione è una sola, sempre la stessa: spendere in sicurezza per le nostre case, per le scuole dei nostri figli, per le aziende. La più preziosa delle grande opere che servono all’Italia: prevenzione attiva.
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