mercoledì 12 giugno 2013
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Il Papa non smette di stupirci. La sua parola ha la freschezza dell’acqua di sorgente nell’arsura del deserto. Il sapore del pane appena cotto al forno. Cade in un cuore stanco e gli ridona forza. Rimette in piedi chi, deluso, si era lasciato andare. A me non escono dalla mente le parole che, nei giorni scorsi in piazza San Pietro, ha rivolto anche a migliaia di pellegrini provenienti dalla "terra dei fuochi". La Provvidenza ha voluto che il pellegrinaggio della diocesi di Aversa, guidato dal vescovo Angelo Spinillo, coincidesse con la Giornata mondiale per l’ambiente. Alle prime parole del Santo Padre: «Dio pose l’uomo nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse… Noi stiamo veramente custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando?», un fremito di speranza e di gioia ha cominciato a serpeggiare tra di noi. Il Papa, naturalmente, parla al mondo intero; ma noi, abitanti di una dei territori più umiliati e avvelenati d’Italia, abbiamo fatto particolarmente nostre quelle parole.Il mio pensiero, come un fulmine, corre a coloro che non son venuti a Roma perché hanno pagato o stanno pagando con la vita la stoltezza di chi non rispetta l’uomo. Penso a Mena. L’ho incontrata due settimane fa sul sagrato di una chiesa. Attendeva il parroco perché ungesse con l’Olio degli infermi la sua giovane figlia ammalata. Mi ha raccontato il suo calvario. Vedova da tempo, nel giro di un anno il cancro ha colpito brutalmente tutti e tre i suoi figli. Resto senza parole. È la prima volta che mi trovo al cospetto di una mamma che deve accudire, confortare, curare, contemporaneamente, tutti i suoi figli. Chiedo alla signora se le fa piacere ricevere a casa, gratuitamente, la visita di qualche volontario o di qualche esperto per un sostegno psicologico. «No, la ringrazio. Ne avrei bisogno, ma temo che i vicini si accorgano della difficile situazione che viviamo. Ci vergogniamo tanto. Mi chiedo quali peccati abbiamo potuto commettere per essere puniti in questo modo… Prego. Tutto metto nelle mani di Dio e della Madonna, ma troppo grande è il dolore per poterlo sopportare. Temo di non farcela. Verrò a trovarla io, mi fa piacere continuare a parlare con lei. Preghi per noi…». Timidamente le traccio un segno di croce sulla fronte. Capisco e inorridisco.Capisco che, oltre al danno subito, la nostra buona gente è costretta a sopportare la beffa di sentire come una maledizione il morbo che sta decimando un popolo. Al punto da non pronunciarne più nemmeno il nome, preferendo dire «la brutta malattia». Non tutti hanno il coraggio di gridare al mondo la propria rabbia e la propria sofferenza. Di chiedere con forza e determinazione i propri diritti. Alcuni si chiudono nel silenzio e soffrono. Questa mamma, che merita la solidarietà di tutti e le scuse di tanti, crede addirittura di dover difendere i figli anche dall’incomprensione di qualcuno. Questa storia, invece, anche se in anonimato, merita di essere conosciuta. Perché non è possibile che esistano territori in Italia dove i rappresentanti dello Stato – con vuota sicumera e magari, ogni tanto, piagnucolando – alzano bandiera bianca e se ne lavano le mani, mentre la gente muore. Dove l’allarme di tanti medici di famiglia viene regolarmente ignorato o ridimensionato per motivi detestabili. Dove camorristi con coppola e lupara, uniti ad altri con cravatta e computer, hanno scritto e continuano a scrivere una delle pagine più brutte e sciagurate della storia della nostra regione e della nostra patria.La terra avvelenata avvelena gli uomini. È costretta a farlo suo malgrado, non per sete di vendetta. La voce di Francesco, col suo speciale timbro di dolcezza e fermezza, il 5 giugno ha ancora una volta ricordato al mondo che ecologia ambientale ed ecologia umana vanno insieme. Sempre. Occorre custodire il creato per amore dell’umanità. Con intelligenza e convinzione. Non farlo provoca disastri immani come quello che noi, abitanti delle province di Napoli e Caserta, stiamo sopportando sulla nostra pelle.<+copyright>
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