venerdì 9 gennaio 2009
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Gli ultimi dati sul ricorso alla cassa integrazione, resi pubblici mercoledì dal ministro del Welfare, tratteggiano una tendenza preoccupante assieme però a uno scenario complessivo meno drammatico del previsto sul piano dell’occupazione. L’esplosione (+525%) dell’utilizzo della cig ordinaria, infatti, registra il fermo di buona parte dell’apparato industriale, in particolare nel settore metalmeccanico. Un fenomeno avviatosi già dall’autunno scorso e che toccherà la punta massima, con ogni probabilità, nel prossimo trimestre. Tuttavia, va sottolineato come il confronto avvenga con il 2007, anno nel quale il ricorso alla cassa integrazione fu decisamente limitato. E, più ancora, il raffronto delle serie storiche testimonia chiaramente come la 'grande gelata' attuale (con 79 milioni di ore di ricorso alla cassa ordinaria) sia ancora inferiore a quella di altre fasi di crisi, come tra il 2003 e 2005 (dagli 85 ai 100 milioni di ore) e soprattutto all’ultima 'glaciazione' economica del 1993, quando le ore di cig ordinaria furono addirittura 240 milioni. Insomma, nevica – e forte – sull’occupazione. Ancora però non siamo sommersi: se si comincia a 'spalare' si può sperare di uscirne con danni limitati. Utilizzare misure tampone, come appunto la cassa a rotazione o le settimane corte, rappresenta dunque una maniera intelligente di evitare i licenziamenti e la dispersione delle professionalità. Contemporaneamente, però, sarebbe utile avviare uno sforzo d’innovazione per aggredire la crisi in positivo, sia sul piano delle strategie industriali e di prodotto, sia su quello delle relazioni sindacali. Oggi sì, occorrerebbe attivare una nuova concertazione. E dunque il governo farebbe bene ad aprire subito un tavolo di confronto con le parti sociali. Le dimensioni e la natura di questa recessione, infatti, sono tali da richiedere a tutti gli attori non solo grande responsabilità, ma anzitutto la capacità di progettare il nuovo, di mettersi in gioco, di scommettere su un reciproco affidamento per uscire dalle secche. Mobilitando maggiori risorse economiche – certo necessarie per stendere almeno una coperta minima su chi non ha tutele – più ancora unendo energie e intelligenze. Non si tratta solo di un auspicio retorico: il primo banco di prova è già a portata di mano. Il round di negoziati tra i sindacati e le diverse associazioni datoriali sulla riforma del sistema contrattuale è infatti ormai agli sgoccioli. Alla vigilia di Natale, Cisl e Uil hanno siglato l’intesa sulle nuove linee guida con la Confesercenti, aggiungendo un altro importante tassello al mosaico che vede già 'sistemate' le tessere della Confindustria, della Confcommercio, del Pubblico impiego, delle piccole imprese di Confapi e delle associazioni dell’artigianato. In particolare, in quest’ultima trattativa, pure la Cgil è stata a un passo dal siglare l’intesa, dato che già il precedente rinnovo contrattuale del settore aveva introdotto alcuni dei principi innovativi oggi in discussione. Mancano gli accordi con le cooperative e la Confservizi, ma entro qualche giorno, settimane al massimo, il quadro risulterà completo. Sarà allora il momento di assumersi la responsabilità di un cambiamento necessario, di una scommessa sul comune destino di impresa e lavoratori, un viatico per incrementare la produttività del nostro sistema economico. Nel luglio del 1993 fu proprio la riforma del sistema contrattuale a segnare una svolta e ad agevolare la ripresa del Paese. Oggi, quasi 16 anni dopo, una nuova intesa, un cambiamento di clima, assieme a investimenti mirati sull’innovazione e le infrastrutture, potrebbero rinnovare il piccolo grande miracolo.
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