mercoledì 31 agosto 2016
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Il terremoto che si è abbattuto nel Centro Italia – come ogni male che si abbatte sull’uomo – interroga, anzi sfida la fede. Tanto più quanto più orribile ed esteso è il male. Ancora più quanto più a soffrire e morire sono i piccoli, gli inermi, gli innocenti. Dov’era Dio – ci si continua a chiedere – ad Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto nella notte del terremoto? L’interrogativo se lo pone giustamente anche il credente: non lo può evadere, non lo evade di fatto. Perché la fede non è un bunker di beata sicurezza, ma è immersa nel dolore del mondo. La fede non è un’evasione esoterica, professata a latere della storia, ma è inserita nella storia con le sue contraddizioni. Non può bypassarla. Essa infatti è centrata sulla kenosi, l’incarnazione del Figlio di Dio nella storia sino alla morte e a una morte di croce, come professa un antico inno cristologico tramandato da San Paolo. Su quella croce si abbattono tutti i mali del mondo, fino al male spirituale – il silenzio di Dio – drammaticamente sofferto dal Crocifisso: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Dov’era Dio al Getsemani e sul Golgota? Se una risposta c’è, è l’unica che abbiamo alla domanda cruciale in presenza del male e del suo potere distruttore: dov’è Dio? Ciò che la fede sa e dice è che, malgrado tutto, nella tenebra della croce Dio non era assente. Lo sappiamo prima di tutto dalla morte di Gesù su quel legno: il male che si abbatte sul Crocifisso non riesce a spezzare il legame fiduciale che lo unisce come Figlio al Padre. Gesù non è schiacciato dalla croce, ma la vive come professione della speranza più grande: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». La massa di dolore della croce non annienta la fede, ma la trasforma nella libertà più grande con cui l’uomo non soccombe ma si affida al Dio della vita. Lo sappiamo ancor più dall’esito della fede: la risurrezione del Crocifisso. La quale sta a dire che il cerchio della storia non si chiude sulla croce e sul potere del male che su di essa si abbatte. Se così fosse, non ci sarebbe posto per la speranza. Il cerchio della storia si chiude sulla signoria divina della storia e sul potere provvidente e risuscitante del Bene, che apre la libertà alla speranza.

Ma questo lo può cogliere solo lo sguardo lungo della fede, che penetra il Cielo e incontra lo sguardo benevolente del Padre. Così la fede piena di speranza conforta il dolore e allevia lo sconforto. È quanto la cronaca dai paesi del terremoto ci sta raccontando in questi giorni. Cronaca di persone che non disperano: capaci di leggere con gli occhi della fede il loro dramma. Così il pericolo scampato o mitigato è rapportato alla protezione divina. Come la suora, tratta dalle macerie da un giovane che lei non ha più visto, e di cui dice: un angelo del Signore è venuto a salvarmi. O il papà della piccola Giorgia, estratta viva dalle rovine, che dichiara: una mano dall’alto l’ha protetta e l’ha salvata. O il vescovo che, tra tanto sgomento, si fa voce della sua gente e chiede a Dio: «E adesso che si fa?».

Le perdite, le ferite e la stessa morte, a loro volta, sono accolte e vissute da quella gente nella preghiera di affidamento a Dio, di consegna nelle sue mani, nella consapevolezza che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (San Paolo). Anche se questo bene (ancora) non s’intravede. Per questa fede che la anima e la sorregge, quella gente provata non dispera. Percepisce che il male, con tutta la sua carica di dolore e di morte, non sottrae alle mani di Dio la signoria del mondo e della storia. Dio può essere eclissato dalle tenebre del male, ma il mondo e la storia non gli sfuggono di mano.

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