martedì 29 dicembre 2009
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Non è una scelta escogitata per qual­che beneficio, né una strategia a ta­volino. Perché alla Chiesa – e alla Chiesa i­taliana – stare in mezzo alla gente riesce naturale. E quando si parla di 'gente' non s’intende l’allusione frusta a una categoria indistinta: si parla di persone, volti, storie autentiche sebbene avare di notizie allet­tanti per certi tattici dell’intrattenimento mediatico. Si parla di famiglie, poveri, e­marginati, infermi, carcerati, chi è senza lavoro e chi invece non riesce più a trova­re una speranza: quelli che altri – pur par­landone volentieri, finché si resta sulle ge­nerali – stentano a vedere. Il tempo natalizio induce i buoni sentimenti. Ma questa Chiesa che è tutt’uno con la vita reale del suo popolo, con la vita degli italiani, non si muove per buonismo, non a­spetta le feste comandate. È se stes­sa sempre. E quando sa che l’uo­mo avverte più acutamente il biso­gno – che mai viene meno – di sen­tirsi ascoltato e sorretto, proprio al­lora gli si fa accanto senza dare nel­l’occhio. Non puoi sbagliarti: la tro­vi lì, proprio dove le vicende della vita insinuano il dubbio che la so­litudine sia senza scampo. Nella stalla o sulla croce – luoghi infre­quentabili per chi preferisce star comodo – non si può lasciar solo Dio fatto uomo, e insieme l’uomo che chiama Dio. L’abbiamo vista una volta ancora, questa Chiesa sorella e madre, met­tersi al passo dei detenuti al termi­ne di un anno nel quale è stata su­perata ogni precedente soglia di sui­cidi in cella, con la disperazione per vicina di branda. Ha bussato alle carceri per rin­novare un gesto che decine di vescovi in tutta Italia ripetono a ogni Natale, portan­do la consolazione certa dell’Eucaristia – Betlemme e Calvario, la salvezza tutta in­tera – dentro le mura delle prigioni. È il ge­sto della prossimità più gratuita, accanto a quello che realizzano ogni giorno – Natale incluso, ovviamente – religiosi e volontari delle mense per i poveri. Domenica gli ha reso omaggio Pietro in persona: visitando la Comunità di Sant’Egidio, il Papa ha con­fermato che il Samaritano oggi farebbe co­me loro, e non certo per una questione di immagine: «Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato», ha detto, avendo appe­na verificato che lì – come altrove, nella mi­riade d’iniziative simili – abbandono e so­litudine non esistono più. Come non esi­stono accanto ai malati terminali visitati da Benedetto XVI solo pochi giorni prima, in un hospice romano. Questa Chiesa vicina l’abbiamo vista an­cora ieri in quel che il cardinale Bagnasco – portando idealmente con sé tutta la co­munità cristiana, come presidente del no­stro episcopato – ha realizzato visitando o­gni casa, ogni famiglia, ogni dolore dei pae­si del Messinese che il 1° ottobre si sono vi­sti cadere addosso una montagna di fango. È facile rimuovere le ferite altrui: e le scia­gure naturali sono quelle che noi, ormai as­suefatti al peggio, sembriamo più agevol­mente archiviare. Ma la Chiesa, che intan­to non s’è distratta un momento, ci riporta pazientemente lì dove l’attenzione è già sfu­mata per cedere il passo ad altre emozioni collettive. È la normalità a stancarci: abi­tuati agli choc informativi, si rischia di non far caso nemmeno alla piazza di Madrid dove all’invito della diocesi, aperto all’Eu­ropa, domenica hanno risposto così tante famiglie da far contare 700 mila presenze, 10 mila solo dall’Italia. Questa famiglia e­saltata a chiacchiere e inascoltata nei fatti attende una parola seria e impegnata sul proprio futuro, ma la vuole sentire da una voce credibile: e solo la Chiesa che ne con­divide ogni passo – dal primo battito all’ul­timo respiro – sa trovare naturale sintonia. Una Chiesa di popolo è dove la vita pulsa, dove sanguina l’uomo ferito, dove invoca ascolto chi è alla deriva. A Natale questo è semplicemente visibile a tutti, ma è così o­gni mattino dell’anno, ovunque, sempre. È una questione di fedeltà: non ne può fa­re a meno.
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