lunedì 24 giugno 2013
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Proviamo a incrociare tre notizie apparse in questi ultimi cinque giorni in materia di tasse. La prima è di portata internazionale e risale a martedì 18 giugno, quando il vertice del G8 nella solitaria località nordirlandese di Laugh Erne, ha concordato di intensificare la lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio, restringendo le regole che oggi ancora consentono di nascondere non meno di 20mila miliardi di dollari nei "paradisi tributari" (i tax heavens) di mezzo mondo. La seconda notizia ci riporta in casa nostra, dove mercoledì scorso la Corte dei Conti ha confermato la duplice intollerabile realtà di una pressione fiscale effettiva arrivata al 53% del reddito e di un’area di imposizione occultata, limitandoci soltanto a Imu e Iva, di almeno 50 miliardi di euro. Il giorno dopo – terza notizia – la Guardia di Finanza ha presentato i risultati dei suoi ultimi cinque mesi di attività di contrasto all’illegalità, con esiti non meno deprimenti: scontrini e ricevute non emessi in un caso su tre, frodi e truffe a migliaia, 5 miliardi e mezzo di introiti trasferiti all’estero con i più disparati escamotage. Il panorama che emerge da questo incrocio di informazioni è sconfortante. Quella che si staglia sul suo sfondo è un’enorme emergenza etica, una mastodontica questione di giustizia, rispetto alla quale non può consolarci la dimensione planetaria del fenomeno. Ma al tempo stesso è una gravissima emergenza economica e sociale, ripetutamente quanto inutilmente denunciata, con pesanti ricadute sull’Erario e sulla vita concreta di milioni di italiani, costretti a sobbarcarsi il peso aggiuntivo di un’imposizione esosa, per compensare i mancati introiti sottratti da legioni di furbi (e non vale obiettare che talvolta le due "categorie" coincidono, perché il saldo tra il "disonesto non dare" e l’"ingiusto subire" resta comunque insopportabilmente negativo).Ma ecco profilarsi ora un nuovo tipo di "incrocio": quello che, a partire da domani, l’Agenzia delle Entrate sarà in grado di operare fra le nostre dichiarazioni dei redditi e l’anagrafe dei conti correnti bancari, resa obbligatoria dal decreto SalvaItalia di fine 2011. Entra in vigore infatti il cosiddetto Sid (Sistema informatico dati), con il quale la società che gestisce le informazioni di tutti i contribuenti italiani potrà monitorare anche il più piccolo movimento di denaro che si produrrà in qualunque circuito finanziario: depositi, prelievi, assegni, carte di credito, prestiti e così via. Gli scopi di questo sostanziale superamento del segreto bancario, attraverso una sorta di "Spectre" fiscale dotata di poteri senza precedenti e in grado di violare ogni barriera di privacy, sono evidenti e rispondono proprio all’emergenza prima ricordata: assestare un colpo finalmente decisivo al Moloch dell’evasione, creare le premesse contabili per un alleggerimento del gravame oggi caricato su quanti fanno fino il fondo il loro dovere, circoscrivere al massimo l’area dell’economia illegale e della corruzione che spesso vi si annida. La domanda, tuttavia, sorge immediata e spontanea: il gioco vale davvero la candela? La rinuncia alla tutela di dati altamente sensibili che ci riguardano e che istintivamente vorremmo sempre protetti da sguardi indiscreti, può infatti essere giustificata solo in nome di un bene maggiore, come il perseguimento della giustizia mediante l’attuazione effettiva del principio costituzionale di equa ripartizione dell’onere tributario. Vale cioè, su scala nazionale, il criterio che gli Stati adottano (vedi l’ultimo G8) quando, per stroncare i circuiti finanziari illeciti che minano la stabilità interna di ciascuno, consentono forme di controllo prima aborrite sui flussi di denaro.Il sacrificio, altrimenti inaccettabile, è dunque possibile solo a condizione di dimostrarne al più presto i vantaggi attesi, sia informando tempestivamente sul funzionamento e sugli esiti che produce (e che speriamo non diano luogo a ingiusti eccessi vessatori), sia affrettando le riforme di sistema da tempo sul tappeto. Su tutto questo, è facile ed è lecito attendersi che il controllo dell’opinione pubblica sarà costante e severo. A proposito di controlli e giudizi, la vicenda del ministro Josefa Idem, anche dopo i chiarimenti forniti ieri in toni invero un po’ bruschi e insofferenti (giustificabili solo in parte con le intollerabili offese subite), non si può dire chiusa. Restano circostanze sulle quali saranno gli organismi preposti a fare luce. E restano, visto anche il ruolo di Idem come titolare delle Pari opportunità, pesanti interrogativi sulla parità di trattamento e di valutazione con situazioni analoghe, che hanno coinvolto e ancora potranno coinvolgere esponenti politici e di governo, dai quali la gente si aspetta sempre massima correttezza e sufficiente umiltà. Se la luce attesa sarà cruda, nessuno potrà far finta di nulla.
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