sabato 14 dicembre 2013
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Caro direttore,
tempo fa, in occasione di una puntata della rassegna stampa di 'Prima Pagina' (su Radio3), ebbi l’opportunità di formulare un quesito di fondo sulla politica economica nazionale. Chiesi per quale ragione il modello economico partecipativo tedesco, generatore di risultati invidiabili, non sia stato introdotto in Italia. Aggiunsi che quel modello viene già applicato in Italia da società affiliate a gruppi tedeschi, come Volkswagen e Lamborghini. L’interlocutrice rispose che il modello in oggetto venne proposto anni addietro dal premier Angela Merkel durante una visita a Roma per una conferenza intergovernativa. Un radioascoltatore, intervenuto successivamente, chiese se il modello in questione potesse essere applicato vantaggiosamente anche alla Fiat... Su questo aspetto specifico e delicato, allora, si preferì sorvolare. E mi pare che si continui a farlo. La concomitanza della firma della tregua tra Fiat e Fiom, siglata in questi giorni, rende ancor più valido il quesito dell’altro ascoltatore radiofonico: l’introduzione in Fiat del modello di cogestione rappresenterebbe una novità epocale economica e sociale, in controtendenza rispetto all’accordo accennato, che ha richiesto anni di difficili trattative con posizioni rimaste contrapposte. Sancirebbe il passaggio dalla lotta di classe all’interclassismo, pilastro della Dottrina sociale della Chiesa cattolica. Gradirei conoscere in proposito il suo parere.
Bruno Mardeg​an, Milano
Il mio parere è molto semplice, caro signor Mardegan. Sperimentare la Mitbestimmung, cioè la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ed eventualmente all’azionariato, sarebbe davvero importante. L’ho scritto su queste colonne e l’ho affermato in diverse occasioni e sedi, e non per esterofilia, ma perché sono tra quanti considerano quell’esperienza tedesca – lanciata negli anni Cinquanta e poi, via via, perfezionata – un modello di grande valore e di oggettivo interesse. So bene che abbiamo modelli italiani di «economia civile» positivi e utili tanto quanto quelli collaudati in Germania, ma credo che sia saggio tener debito conto di ciò che altrove ha funzionato e funziona bene, dando al mondo del lavoro e dell’impresa un’impronta umana e cristiana forti ed evidenti. È, dunque, scontato che mi piacerebbe vedere anche la Fiat su questa strada. Per intanto sono molto contento che Enrico Letta, da presidente del Consiglio, nelle dichiarazioni al Parlamento in occasione della 'fiducia politica' votata l’11 dicembre scorso abbia inserito tale prospettiva tra quelle da sviluppare concretamente e a partire da una grande azienda: Poste Italiane. Purtroppo, i tentativi abbozzati in un passato anche recente sono regolarmente falliti o, meglio, sono stati fatti fallire. Ed è noto che tra i grandi sindacati confederali si registra un dissidio niente affatto nuovo tra Cisl e Uil (favorevoli) e Cgil (contraria alla partecipazione azionaria dei dipendenti come 'fatto pubblico' e non come 'scelta privata'). Spero, tuttavia, che stavolta il nodo venga sciolto: la Mitbestimmung è una bella parola e spero che venga tradotta, prendendo forma, sostanza e forza, anche da noi, qui in Italia. E diventi uno strumento in più, per molti versi esemplare, per accompagnare e sostenere il nostro sistema in una agognata 'risalita' che sarà davvero buona solo se, per tante persone, significherà la riconquista del lavoro e, dunque, della dignità.
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