venerdì 20 dicembre 2013
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Gentile direttore,
mi associo alla lettera del signor Borroni (Avvenire di ieri, 19 dicembre, ndr). A differenza di lui, io sono "di sinistra", ma mi ritrovo in gran parte dei suoi giudizi sul tristissimo caso delle docce anti-scabbia nel Centro per migranti di Lampedusa. Non ho approfondito più di tanto la questione da lui sollevata, ma ne ho osservato le conseguenze a livello mediatico: grande sgomento, indignazione, iniziative del governo e degli enti direttivi che rimuovono i responsabili… Non ho visto, però, se non sporadici cenni alla situazione logistica in cui i coinvolti sono chiamati a operare, nota a tutti da anni; non ho visto impegni a rendere il sito adeguato ad accogliere il turnover di decine di migliaia di persone nell’arco di un anno; non ho rilevato alcun moto di cambiamento nella gestione del flusso migratorio, che, ricordiamolo, a primavera ricomincerà, perché non sono mai venute meno le cause che lo generano e che il signor Borroni ha saggiamente ricordato. In prima pagina oggi (ieri, ndr) riportavate le vicende del Sud Sudan: cosa pensiamo che ne scaturirà, oltre ai morti? Altri disperati pronti a tutto pur di sfuggire alla tragedia. Rimane, anche per me, viva la sensazione di una grande ipocrisia, di una impotenza rispetto al male che gli operatori dei media incarnano mirabilmente (eccezion fatta per testate come la vostra, e non è piaggeria). Che fare? A mio parere bisogna agire a livello internazionale, a carte scoperte nei confronti della comunità globale, per modificare con tutti gli strumenti necessari (anche diplomatici, economici o militari) il comportamento di quei Paesi che causano o permettono il realizzarsi di questo genocidio: non tacere, levare la propria voce per denunciare e pretendere azioni, occuparsi degli altri, è "di sinistra", ed è anche cristiano. La ringrazio per l’attenzione e mi complimento ancora per il suo giornale, uno dei pochi che fanno onore alla vostra professione.
Sergio Casarin
 
Signor direttore,
dopo l’enfasi esagerata sulla bontà dei nostri operatori umanitari a Lampedusa, tocca ora all’ipocrita sdegno per le immagini delle operazioni, sicuramente spicce, di disinfestazione dei migranti. Cosa dovevano fare i nostri "ex eroi"? Procedere alla disinfezione in appositi locali che non esistono? Omettere l’applicazione del protocollo sanitario previsto? O chiedere che ad applicare lo stesso fossero gli smidollati politici dall’indignazione facile che ora li accusano? La nostra marcia società tutto tollera, tranne che la realtà.
Stefania Carta
 Due registri completamente diversi, i vostri. Per dire cose solo apparentemente vicine su ciò che l’ennesimo "caso Lampedusa" ha portato ancora una volta all’attenzione dell’opinione pubblica. Lei, gentile signor Casarin, ce l’ha con le declamazioni e le ipocrisie vuote e va alla radice del male, dell’ingiustizia e della violenza che induce uomini e donne a sradicarsi dalla propria patria e a cercare un futuro lontano, inevitabilmente da stranieri, pensando più che a se stessi ai propri figli e ai propri cari (portati subito con sé o lasciati ad aspettare rimesse in denaro e ricongiungimenti familiari quasi mai facili). Lei invece, gentile signora Carta, e mi scusi la franchezza, prende lucciole per lanterne. Confonde tutti gli abitanti di Lampedusa (quelli che chiama un po’ acidamente «ex eroi», in evidente polemica con la nostra iniziativa per assegnare loro il Premio Nobel per la Pace) con i dipendenti della coop che aveva in gestione il Centro per migranti. E mi pare che inclini un po’ troppo a ricondurre a un presunto stato di necessità la volgare cattiveria delle parole e dei gesti riservati alle persone brutalmente disinfettate" da quegli operatori. Ho già ribadito ieri come la pensiamo: ciò che è accaduto è ingiustificabile. E mi fa piacere poter constatare che non è stato giustificato, non solo dalla lega delle cooperative, ma anche dalle autorità di governo. E vengo al dunque. Anche se mi rifiuto di pensare come «marcia» la nostra società, certo malata di in egoismo e di cinismo, sono d’accordo, signora, con la sua conclusione: «Tutto si tollera, tranne che la realtà». Ma penso che per riempire di senso e capire bene quella sua frase bisogna rileggere le conclusioni tirate dall’altro lettore: la «realtà» è anche quella dell’ignavia e della complicità di fatto dei Paesi detti civili con troppi regimi (e troppe operazioni economiche e finanziarie) incivili. Quelle che alimentano la macchina della disperazione che induce a fuggire dalla propria terra. Non so, caro signor Casarin, se raccontare e far comprendere questo, da cronisti, sia di sinistra, di centro o di destra, ma so che è una cosa giusta. E da cristiani sentiamo urgente tenere aperti e far aprire gli occhi, e le mani.
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