martedì 15 marzo 2016
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Caro direttore,
a Parigi, sabato c’ero anch’io. Quando sono entrata in quella sala, la “Salle Gaveau”, mi sono emozionata. Non è questione di essere sentimentali, ma – come ha ben annotato domenica su “Avvenire” il professor D’Agostino – ho avuto la percezione di una giornata «memorabile». In questa sala teatro tipicamente parigina eravamo seduti tutti vicini, donne e uomini di provenienze diverse, non solo di nazioni diverse, ma di culture diverse. Si respirava un’aria che si respira quando stanno avvenendo cose grandi. Eravamo tanti, organizzazione quasi perfetta, cartellini con il proprio nome e nazione, tanti giovani presenti ad ascoltare, pubblico protagonista che scandiva gli interventi con applausi spontanei mai scontati. La questione in gioco non è solo l’embrione umano: «Uno di noi». O, meglio, parte dall’embrione e abbraccia tutta la vita e le nuove forme di violenza contro la vita (commercio di organi, maternità surrogata, manipolazione genetica, figli assemblati). Come dice bene D’Agostino, oggi è richiesto «un impegno del tutto nuovo, che sappia andare al di là di espressioni di sdegno morale o religioso e che obblighi tutta la società civile a una presa d’atto fondamentale di carattere cognitivo attraverso un lavoro culturale faticoso. Simili questioni non possono essere lasciate alla sensibilità morale personale di ciascuno di noi, ma implicano mutamenti antropologici e sociali fondamentali che hanno un prevalente rilievo pubblico». Dal palco più volte è risuonata questa frase: noi non siamo persone “conservatrici”, noi siamo l’idea più progressista, più nuova, meno retrograda, retrogradi sono coloro che puntano a ridurre l’uomo e la donna a cosa, o questo accettano. Occorre risvegliare le coscienze addormentate e tenere deste e argomentate le ragioni delle nostre battaglie. Non ci si deve sentire sconfitti se passano certe leggi, l’unica sconfitta è smettere di difendere ciò in cui si crede. È una sfida affermativa che rafforza famiglia e istruzione per costruire una comunità civile che sia famiglia di famiglie. Commovente e memorabile. Grazie, grazie al movimento europeo “One of us”. Uno di noi.
 
 
Maria Grazia Colombo - Vicepresidente nazionale Forum delle associazioni familiari
Proprio così, cara amica: commovente e memorabile quell’evento parigino, ma soprattutto vero e importante. Eppure sulla stampa italiana – “Avvenire” a parte, e ovviamente non solo perché anch’io ero alla “Salle Gaveau” – è mancata (a caldo) e ancora non s’è vista (a freddo) non dico una seria traccia, ma anche appena una menzione del primo Forum europeo “One of us”, cioè “Uno di noi” riferito all’embrione umano, che ha riunito a Parigi più di mille delegati di Movimenti per la vita e organizzazioni di cittadinanza dei Paesi della Ue attorno ai temi che lei richiama: accoglienza della vita, difesa della maternità e della paternità, lotta contro la pratica dell’utero in affitto, difesa delle persone in stato di minima coscienza e resistenza alle derive eugenetiche ed eutanasiche. È la continuazione di una disattenzione spesso deliberata nei confronti di coloro che sono in prima linea su questa frontiera dell’umano e che mi spiego, da uomo di comunicazione, solamente con un granitico, accecante pregiudizio. Lo stesso pregiudizio che – come lei sottolinea e l’ex ministro spagnolo Alberto Ruiz-Gallardón, il giurista francese Grégor Puppinck e il presidente del Movimento per la vita italiano Gian Luigi Gigli hanno efficacemente argomentato – impedisce di rendersi conto che l’impegno più “progressista” nel nostro mondo è proprio di chi si batte per l’intangibile dignità di ogni donna e di ogni uomo in ogni fase e condizione dell’esistenza, dal concepimento sino alla morte naturale, passando per ogni prova e conquista della vita. A Parigi, a mia volta, ho ripetuto una cosa che scrivo e dico spesso, e con crescente consapevolezza: alla nostra generazione di donne e uomini politici, di potenti dell’economia e della tecnoscienza, di intellettuali, di protagonisti del sistema mediatico e di semplici cittadine e cittadini verrà chiesto conto presto, prima di quanto pensiamo, di ciò che abbiamo o non abbiamo pensato, detto, organizzato e fatto per impedire la svalutazione dell’umanità nel nome di una libertà-pretesto, che serve solo a ridurre la persona a prodotto e a farla idealmente e commercialmente “a pezzi”. Per questo non possiamo e non vogliamo chiudere gli occhi e negare giusta e accurata informazione ai nostri concittadini. Per questo non stiamo e non staremo zitti e fermi. Per questo – come ha ricordato D’Agostino – non cessiamo di gettare ponti e non rinunceremo a unirci da cristiani a compagni di strada che arrivano da percorsi anche molto diversi dal nostro per ingaggiare insieme battaglie davvero solidariste, dando forza a un umanesimo – ripetiamolo – affermativo e concreto. E sì, che in Europa si parli una stessa lingua a questo proposito e si uniscano le forze è un gran bel segno.
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