mercoledì 11 settembre 2013
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Un detto urdu, diffuso in India e in Pakistan, ricorda che ognuno ha due padri, il genitore biologico e il proprio maestro. Mentre le scuole, in questi giorni, riaprono le loro porte, risulta utile riflettere su tale paternità "didattica". Nei prossimi nove mesi i docenti italiani, uomini e donne, saranno chiamati a un lavoro fatto di professionalità e competenze, ma anche a esercitare con serietà e passione quella paternità e maternità di cui centinaia di migliaia di ragazzi e di ragazze sono assetati, più di quanto possa sembrare all’occhio distratto di chi li guarda con superficialità. La scuola ha un’anima paterna e materna. Non è solo un coacervo di scadenze e di problemi. Non si muove soltanto su un orizzonte segnato dalle risorse che mancano. Così ha descritto il proprio impatto con la sua prima classe un "prof" famoso come Eraldo Affinati: «I ragazzi devono percepire che sei davvero interessato a loro. I nostri padri avrebbero usato un’espressione molto più semplice che quasi ci vergogniamo a pronunciare: devono capire che gli vuoi bene». In un’epoca di "passioni tristi", come è stata efficacemente definita qualche anno fa, è una strada da percorrere per non rinunciare a incidere sulla realtà che viviamo. Bisogna incidere sulla realtà: la scuola può e deve farlo. Anche perché ci si misura sempre più con giovani adolescenti angosciati per la loro vita e per il loro futuro. E come scriveva il teologo ortodosso, Olivier Clément: «L’angoscia dell’adolescente diventa insopportabile solo quando è raggiunta e moltiplicata da quella di una civiltà». La scuola non è solo una lista di rivendicazioni, pur in molti casi legittime. Dovrebbe anche far sognare. È l’idea che una generazione debba servire a porre le basi per costruire quella successiva. È vero che tanti insegnanti sono demotivati (e i loro stipendi spesso non sono all’altezza del loro valore). Come è vero che tanti ragazzi hanno difficoltà. Ma le scarse risorse (da ieri un po’ meno scarse, anche se non per tutti) che sono in mano alla scuola dovrebbero essere impegnate anche per costruire il futuro e non solo per mettere qualche toppa al presente, in una logica perennemente emergenziale. Come scriveva don Milani in "Lettera a una professoressa", se «il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera, il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti». Gli operatori della scuola, a partire dagli insegnanti, hanno un grande potere e non vanno lasciati soli. Chi è coinvolto, a diverso titolo, nella grande macchina dell’educazione deve riprenderne coscienza. E la politica, insieme a tutta la società civile, deve accompagnare questo processo. È la riaffermazione che tutti noi, ma in modo particolare chi è dentro la scuola, ha il potere di trasformare la realtà. Un potere a cui ci richiama la giovanissima Malala Yousafzai, ragazza ferita dai taleban proprio perché lottava per il diritto all’istruzione: «Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo». Per tutti, ma oggi in modo rinnovato per i cristiani, è il potere della speranza. Quello che – ne è convinto papa Francesco – muove il cuore dei giovani: «Quando mi dicono: "Ma, Padre, che brutti tempi questi... non si può fare niente!". Come, non si può fare niente? E spiego che si può fare tanto! Un ragazzo, una ragazza faranno quello che possono, ma vivono la scommessa di cose grandi e belle». Ai ragazzi, dice il Papa, non può essere tolta la speranza. Ma anche un adulto può accedere a quel "potere" che trasforma la realtà. Per chi lavora nella scuola e si appresta ad aprire le porte delle classi è questo il momento dei progetti. Concreti ma non per questo aridi, praticabili ma legati a una visione.Troppi padri e madri, malati di rassegnazione, si accontentano che i propri figli siano tranquilli. Almeno in apparenza. Gli insegnanti che li incontreranno possono offrire loro un’occasione importante per crescere accompagnandoli a conoscere la vita e il mondo, con le sue povertà e le sue bellezze, con le difficoltà del lavoro quotidiano e la gioia delle conquiste.
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