martedì 22 settembre 2020
Storia sacra e storia profana: la provvidenziale fine del dominio civile dei pontefici
Piazza San Pietro, in Vaticano, deserta durante l’Angelus di papa Francesco del 15 marzo, in pieno lockdown

Piazza San Pietro, in Vaticano, deserta durante l’Angelus di papa Francesco del 15 marzo, in pieno lockdown - Ansa

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Dio si è servito del persiano Ciro il grande per liberare il popolo d’Israele dall’esilio (come racconta il Deuteroisaia): «Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: “Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso” » (Is 45,1).

Storia sacra e storia profana, come spesso accade, si sono intrecciate, tanto che non ha alcun senso separarle. E ciò vale anche per la nostra storia. Mi riferisco al Risorgimento e alla fine del potere temporale dei Papi. Una grazia non del tutto inattesa, che ha purificato la Chiesa di Cristo mettendola al riparo dalle tentazioni mondane. Penso che dobbiamo anche imparare a leggere più in profondità l’altra ricorrenza: quella del dogma dell’infallibilità. Non una rivincita, ma la custodia di un primato della carità, che non ha bisogno del potere temporale per esprimersi. La formula latina «in rebus fidei et moribus» (in materia di fede e di morale) può solo significare che il Papa e il magistero non hanno altro fine se non quello dell’unità della Chiesa perché i fedeli, compresi i pastori, non abbiano a disorientarsi nel tempo del disorientamento, ma non per orientarsi politicamente o economicamente, piuttosto perché ognuno di noi ha bisogno di sapere e comprendere, con la necessaria, anche se non assoluta, certezza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è vero e ciò che è falso.


Il primato della carità non ha bisogno del potere temporale per esprimersi Il Papa e il magistero hanno come fine l’unità, per distinguere il bene dal male

In chi credere e che cosa fare non sono domande che si possano affidare alla scelta di maggioranze più o meno ondivaghe e determinate a partire da interessi meramente ideologici o economici. Un centro di gravità permanente, al riparo delle tempeste e dei venti è necessario per l’esistenza credente e, diremmo, umana autentica. Si tratta di un orizzonte di libertà, che garantisce il fedele cristiano in ordine al proprio orientamento e che, al tempo stesso, non gli impedisce di discutere posizioni del magistero, che esulano dalla sfera della fede e della morale.

Centocinquanta anni dopo dobbiamo ringraziare la Provvidenza per aver consentito a tutti noi di comprendere il senso autentico del magistero, servendosi, come sempre, della storia e dei suoi protagonisti anche profani. Non si tratta del cosiddetto “senno di poi”, bensì di una storiografia che si nutre della fede, che possiamo imparare rileggendo il molto citato e mai abbastanza meditato discorso dell’allora cardinal Giovan Battista Montini al Campidoglio il 10 ottobre 1962, in occasione dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, che, con buona pace di chi lo denigra è il legittimo erede del Vaticano I: «Parve un crollo; e per il dominio territoriale pontificio lo fu; e parve allora, e per tanti anni successivi, a molti ecclesiastici e a molti cattolici non potere la Chiesa romana rinunciarvi, e accumulando la rivendicazione storica della legittimità della sua origine con l’indispensabilità della sua funzione, si pensò doversi quel potere temporale ricuperare, ricostituire. E sappiamo che ad avvalorare questa opinione per cui fu così travagliata e priva delle più cospicue sue forze, quelle cattoliche, la vita politica italiana, fu l’antagonismo sorto tra lo Stato e la Chiesa. Parole concilianti, ma seguite da contrari fatti severi, non valsero a rassicurare il Papato che privato, anzi sollevato, dal potere temporale, avrebbe potuto esplicare egualmente nel mondo la sua missione; tanto più che nell'opinione pubblica a lui avversa era diffusa la convinzione, anzi la triste speranza, che la secolare istituzione pontificia sarebbe caduta, come ogni altra istituzione puramente umana, col cadere dello sgabello terreno sul quale appoggiava da tanti secoli i suoi piedi, voglio dire la sua presenza politica nel mondo e la sua sempre mal difesa indipendenza. Ma la Provvidenza, ora lo vediamo bene, aveva diversamente disposto le cose, quasi drammaticamente giocando negli avvenimenti. Il Concilio Vaticano I aveva infatti da pochi giorni proclamata somma e infallibile l’autorità spirituale di quel Papa che praticamente perdeva in quel fatale momento la sua autorità temporale. Il Papa usciva glorioso dal Concilio Vaticano I per la definizione dogmatica delle sue supreme potestà nella Chiesa di Dio, e usciva umiliato per la perdita delle sue potestà temporali nella stessa sua Roma, ma com’è noto fu allora che il Papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di Maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione morale sul mondo, come prima non mai».


Perché il successore di Pietro ha bisogno di essere capo di Stato? E’ una opportunità non per la persona del pontefice, ma per la Chiesa, in quanto la sua sovranità lo rende libero dai vincoli di obbedienza ad altre leggi.
Per tutti valgono i versi di Edoardo Bennato: «Ogni cosa ha il suo prezzo, ma nessuno saprà quanto costa la mia libertà»

Sorge allora spontanea e legittima la domanda: ma perché il successore di Pietro e vicario di Cristo ha bisogno di essere “capo di Stato”? Si tratta di una opportunità non per la persona del pontefice, ma per la Chiesa, in quanto la sua sovranità su uno Stato, facendo sì che non è suddito o cittadino di altra nazione, lo rende libero dai vincoli di obbedienza ad altre leggi, emanate da altri, che obbediscono ad altri criteri. Così il popolo credente sa che quando parla il Papa, si esprime in piena libertà e autonomia rispetto a ogni forma di potere mondano. Inoltre lo Stato che ha come sovrano il vescovo di Roma di fatto si rapporta ad altre realtà statuali, proponendo e attivando accordi, la cui finalità è meramente pastorale e in vista dell’evangelizzazione, in una piena autonomia, che – come la storia continua a insegnare, anche on questi giorni – va gelosamente custodita ad intra e difesa ad extra contro ogni tentativo di indebite ingerenze.

Era la posizione del beato Antonio Rosmini, che, mentre rivendicava la povertà della Chiesa, sottolineava (nella quarta delle cinque piaghe della santa Chiesa, quella del piede destro) la necessità di affermarne la libertà, compromessa dal potere temporale. Per la Chiesa, come per ciascuno di noi valgono comunque i versi di Edoardo Bennato: «Ogni cosa ha il suo prezzo, ma nessuno saprà quanto costa la mia libertà».

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