martedì 20 gennaio 2009
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Tra le giustificazioni portate dal ministro Sacconi per l’atto di indirizzo con il quale è riuscito, almeno per ora, ad evitare ad Eluana Englaro la morte per sospensione dell’alimentazione e idratazione, figura un esplicito richiamo a un parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), pubblicato, con indubbia lungimiranza, già nell’ottobre del 2005. Il Comitato qualificava l’alimentazione e l’idratazione artificiali come prassi di sostegno vitale e le escludeva formalmente dal novero di quegli atti medici, che è lecito o addirittura doveroso sospendere, potendosi configurare in alcune circostanze come forme di accanimento terapeutico. Stefano Rodotà (cfr. la Repubblica del 17 gennaio) ritiene che il richiamo fatto dal ministro a questo parere del Comitato abbia una portata argomentativa «praticamente inesistente» e contribuisca di fatto a «calpestare il diritto». Ha ragione Rodotà? No. Perché no? Vediamo. In primo luogo, Rodotà ricorda ai suoi lettori che i pareri del Comitato nazionale di bioetica sono privi di ogni valore giuridico vincolante. Osservazione esattissima; del resto, se fosse vero il contrario, già dal 2005 la questione del carattere terapeutico o puramente assistenziale dell’alimentazione forzata sarebbe stato definitivamente risolta, proprio grazie alla pronuncia del Cnb. Il Comitato, per l’appunto, non emana tuttavia direttive, ma pareri. Che rilievo hanno questi pareri? Essi non veicolano norme, precetti, prescrizioni, ingiunzioni, ordini, imperativi o qualsiasi altra forma di comando, ma rappresentano semplicemente il distillato delle riflessioni che il governo richiede in ambito bioetico a un comitato di studiosi. Studiosi tutti dotati di adeguato prestigio, come sono certo che Rodotà voglia riconoscere, altrimenti non avrebbe collaborato, come ha gentilmente e intensamente fatto, a diverse iniziative promosse dal Comitato stesso. Il punto è che, non solo in Italia, ma in tutto il mondo (dato che praticamente in nessun Paese è assente un Comitato di Bioetica) queste riflessioni sono ritenute importanti perché, incidendo in un ambito sovra-politico, servono a de-ideologicizzare le questioni bioetiche e a sottrarle agli schieramenti partitici. Il Comitato non ha poteri giuridici di alcun tipo; ha però l’autorevolezza che è propria di ciascuno dei suoi componenti e dal loro impegno assolutamente gratuito. Il governo non ha quindi il dovere di prestare ascolto al Comitato, da lui stesso istituito come proprio consulente imparziale ed apolitico, ma farlo è segno di grande saggezza da parte sua. Aggiunge però Rodotà: il parere del Comitato, ricordato da Sacconi, non fu unanime, bensì approvato a maggioranza. È vero. Ai Comitati di Bioetica, tuttavia, non si richiedono pareri unanimi, ma semplicemente pareri, ancorché condivisi solo dalla maggioranza dei loro membri e tale fu appunto il parere sull’alimentazione artificiale. Cosa avrebbe dovuto fare di fronte a tale parere il governo? Accedere (molto curiosamente) all’opinione dei membri di minoranza, delegittimando per ciò solo quelli di maggioranza? Oppure avrebbe dovuto non prendere posizione alcuna, né nel senso indicato dalla maggioranza, né in quello indicato dalla minoranza? Si può anche sostenere questa opinione, che non è assurda, anche se favorisce, secondo un’antica vocazione italiana, l’immobilismo e il rinvio di ogni decisione, quando si devono fronteggiare questioni molto controverse. In ogni modo in bioetica non prendere decisioni può significare solo due cose: o restare fermi alla prassi consolidata seguita dai medici (che nel nostro caso è sempre stata quella di alimentare comunque i pazienti in stato vegetativo persistente) o scegliere, quando si aprano questioni inedite (ma quella di Eluana non lo è), la via più prudente. Nel dubbio se l’alimentazione artificiale sia o no accanimento terapeutico, dovremmo seguire sempre la via più sicura, comportarci cioè in modo da proteggere la vita del malato. La decisione di far morire Eluana, sospendendole l’alimentazione, presuppone quindi due scelte bioeticamente assurde, perché paradossali: dar credito all’opinione minoritaria e non a quella maggioritaria e seguire, in un contesto nel quale i dubbi si moltiplicano, l’opzione meno prudente, quella per la morte e non quella per la vita. Ma ciò che nell’argomentazione è un paradosso, diviene a livello di pensiero dogmatismo e rischia di trasformarsi, nella prassi giuridica, in opzione ideologica. Con il suo atto di indirizzo Sacconi non ha affatto calpestato il diritto, ma è riuscito in un compito che molti scettici avrebbero ritenuto impossibile: ha ridato dignità alla politica.
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