Ma i cattolici sono tutti impegnati nella carità? Tutti no, tanti sì
giovedì 3 dicembre 2020

Gentile direttore,

ho letto con attenzione l’editoriale di giovedì 26 novembre di Francesco Ognibene («Qui, con piena responsabilità») e non posso che condividere l’evidenza data all’impegno caritativo che il «corpo ecclesiale in azione», attraverso «parrocchie, diocesi, Caritas, associazioni» in questo difficile tempo di sofferenza si esprime «accanto al popolo crescente dei poveri, delle persone sole, di anziani, disabili, famiglie, profughi». Sono altresì consapevole che «questo corpo ecclesiale è formato da persone concrete» che mostrano «l’impronta di un cristianesimo che ancora cammina con il volto di donne e uomini, laici e consacrati, annunciatori tenaci di un mondo sempre nuovo». Su tutto questo non si può che essere d’accordo! Quello che invece non è condivisibile è l’estensione del citato virtuoso giudizio a tutti i cattolici presenti nel nostro Paese. L’autore infatti cita «la presenza attiva e responsabile dei cattolici come cittadini vivi, consapevoli, partecipi, capaci di ascoltare, vedere, agire, risolvere, prendersi cura, farsi carico, mettersi al servizio di tutti». Due sono le cose: o l’autore ritiene che possano essere definiti cattolici esclusivamente coloro che agiscono attivamente negli organismi ecclesiali prima indicati contrassegnando la ormai minorità quantitativa del cattolicesimo italiano, oppure si deve riconoscere che all’interno dell’ancora vasta popolazione (auto-dichiarata) cattolica esiste un’ampia varietà di comportamenti e di modalità di espressione della propria esistenza (e della propria dichiarata fede) che comprende, accanto a prassi virtuose nel segno di quanto enunciato da Ognibene (attribuite dallo stesso a tutti i cattolici italiani), anche contegni e azioni in netto contrasto con queste ultime. Se così è (come il sottoscritto ritiene), difficile negare che anche molti dichiarati cattolici siano, per citare ancora Ognibene, «sempre più chiusi dentro la prospettiva angusta di uno sguardo corto, oppure ormai indistinguibili dall’indifferentismo di massa e dall’etica individualista». Con amicizia.

Carlo Beraldo


Grazie dell’amicizia, dell’attenzione e della condivisione. E grazie anche della sua sfidante domanda. Ovviamente, gentile signor Beraldo, anche tra i cattolici ci sono “chiusi” e “aperti” alla carità senza la quale la fede è morta (Giacomo 2,26), ovvero in termini laici alla fattiva solidarietà. Anzi, persino di questi tempi pandemici, se ne palesano rumorosamente alcuni che ritengono la solidarietà un lusso che non possiamo e che non dobbiamo permetterci, perché dobbiamo concentrarci a “difendere le posizioni”. Ne sono amareggiato, non stupito. Conta però di più che nei giorni della prova – e proprio di questo ha dato atto nel suo bel fondo Francesco Ognibene – è riemersa una vasta cattolicità italiana generosa e responsabile. A essa i nostri vescovi hanno detto grazie e chiesto di perseverare, invitando sempre più battezzati a sentire questo impegno come proprio. I cattolici attivi nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti sono una minoranza? Non è una scoperta. E non è una... condanna all’ergastolo. È un motivo per essere ancor più vivi e generosi, e perciò “attraenti”, dentro questa società senza dimenticare – secondo la nostra storia – il mondo. Non è facile, ma è giusto e necessario, ed è bello. Sono certo che lei lo sa per esperienza. Buon cammino e buon lavoro, caro amico.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI