Luce sui «soldi» della politica
giovedì 16 marzo 2017

Abbiamo già sottolineato come le inchieste in corso a Napoli e a Roma sulla vicenda Consip abbiano fatto riemergere con prepotente evidenza il problema della riservatezza delle indagini e della pericolosità di certi cortocircuiti giudiziario-mediatici. Tanto che il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Giovanni Legnini, aprendo i lavori del plenum la scorsa settimana, ha avvertito il dovere di ricordare come le fughe di notizie, in quel caso e in tutti gli altri, rischiano «di minare la credibilità degli organi inquirenti».

Nello scorso fine settimana, al Lingotto di Torino, Stefano Graziano, dirigente del Pd prima indagato con grande clamore e dopo un anno scagionato non con altrettanto clamore, ha lanciato la proposta di rendere pubblici gli avvisi di garanzia soltanto dopo l’eventuale rinvio a giudizio. Può essere o meno una buona idea (e in alcune circostanze potrebbe forse non essere fattibile), ma sarebbe il caso di ragionarci seriamente sopra per tutelare gli indagati, le indagini stesse e – scusate se insistiamo tanto su questo termine forse fastidioso e desueto in tempi di giustizialismo galoppante – lo Stato di diritto.

Ugualmente importante, anzi necessaria, sarebbe una riflessione su un altro aspetto riaffiorato per il tramite delle indagini sulla Consip: i finanziamenti da e per le fondazioni politiche. Nulla di illegale, almeno fino alla prova del contrario, ma in questo caso il nodo è politico. È vero, abbiamo visto che il finanziamento pubblico ai partiti non impedì l’esplosione di Tangentopoli. La sua abolizione ha però prodotto la diversificazione degli "approvvigionamenti" sotto forma di rimborsi ai gruppi (pensiamo a quelli dei Consigli regionali, che appena qualche anno fa fecero gridare alla Rimborsopoli), ha condotto a quel meccanismo scarsamente popolare che è il 2 per mille che i cittadini possono destinare attraverso la dichiarazione dei redditi alla forza politica preferita e, infine, alla proliferazione delle fondazioni politiche.

Queste ultime sono formalmente "pensatoi" nati per sviluppare e far circolare idee vicine alle varie culture politiche esistenti nel nostro Paese. E nessuno nega che assolvano anche tale compito. Ma pure per far circolare idee servono soldi ed è già stato notato che negli ultimi anni questo genere di fondazioni è cresciuto di numero: secondo il sito specializzato Openpolis siamo ora a 65, soltanto 4 delle quali hanno messo nero su bianco i nomi dei propri finanziatori: per lo più, grandi gruppi industriali e bancari pubblici e privati. Tutte le altre non dicono da chi prendono soldi, né esiste l’obbligo di rendere noto l’importo delle donazioni. Viene naturale chiedersi se davvero si tratti di donazioni liberali e disinteressate e, anche, quanto ci sia di trasparente in una tale forma di finanziamento della politica. Sarebbe curioso, per esempio, sapere quanti tra i finanziatori di questo o quel think tank conservatore siano anche nell’elenco (segreto) dei contributori, o magari dei soci, di una delle tante fondazioni progressiste. O magari viceversa.

Per non parlare poi degli effetti di questo fiorire di fondazioni sul male endemico della politica italiana, non scomparso nemmeno negli anni del bipolarismo: il frazionamento tra i partiti e all’interno dei partiti. Molti "pensatoi" corrispondono ad aree o correnti di partito e, a voler essere maliziosi, si potrebbe pensare che fungano anche da salvadanai delle stesse.
Che cosa c’è in tutto ciò di diverso, di migliore, di più chiaro rispetto al vecchio finanziamento pubblico ai partiti? È il caso di chiedersi se non valga la pena con estremo rigore, sobrietà, rendicontazioni accurate e vigilanza severa tornare indietro (ma già ci sembra di sentire alzarsi nelle piazze i cori "anti-casta"...). O, almeno, decidersi a regolamentare davvero e seriamente il sistema di raccolta dei fondi privati. Altrimenti resta una terza possibilità: che tutti i partiti si dotino di un blog pieno di pubblicità e di annunci commerciali, espliciti o sotto forma di link a notizie «che potrebbero interessarti», rastrellando così a suon di clic i propri finanziamenti. Non è un’idea originale, ma pare – pare – che funzioni.

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