giovedì 14 luglio 2016
 Lo stop ai rapinatori di donne
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Un flash da Torino: una 21enne romena ha denunciato il suo aguzzino, un connazionale, che da due mesi la teneva a pane, acqua e botte perché il fatturato sulla strada era in calo. Ma di sfruttatori la ragazzina ne ha avuti più di uno. Tutti coloro che le hanno allungato un paio di banconote dopo aver abusato di lei. Non si illudano, i cosiddetti clienti: pagare un quarto d’ora di sesso non significa comprare un servizio liberamente offerto sul mercato. Significa rapinare. In Italia si prostituiscono tra le 75mila e le 120mila donne: il 37 per cento di loro ha meno di 18 anni.  Qualcuno può immaginare che queste ragazzine abbiano davvero scelto di vendersi per strada? Si può far finta di crederlo, perché magari sorridono e sembrano compiacenti. Ma non è così. La proposta di legge per punire i cosiddetti clienti, presentata ieri alla Camera dei deputati, per l’appunto riporta la responsabilità dello sfruttamento anche in capo all’'utilizzatore finale'. Non significa abbassare la guardia contro l’odioso e ben più impenetrabile racket della tratta, tutt’altro: significa riconoscere che fa violenza alle donne non solo chi le getta in strada e guadagna sulla loro pelle, ma anche chi alimenta il mercato con la sua domanda. Si introduce il reato di 'acquisto di servizi sessuali', mettendo in chiaro che la donna non può mai essere un oggetto a disposizione, nemmeno quando all’apparenza è lei stessa a offrirsi. A ben guardare, conta perfino poco quanto forzatamente la donna si venda. Il fatto fondamentale che questa legge vuole ribadire è che i 'servizi sessuali' - in definitiva, il corpo - non sono oggetto di compravendita. Senza se e senza ma. In una stagione in cui anche in Italia per le donne si aprono traguardi inediti, è tempo che si ridia dignità alle più fragili e vulnerabili, quelle che vengono comprate a ore sui marciapiedi. A tutte, e soprattutto alle più giovani: non a caso proprio ieri l’Unicef ha dichiarato che il nuovo Obiettivo del millennio è 'la fine di ogni sfruttamento sui bambini'. In fondo, è lo stesso principio per cui vasta parte dell’opinione pubblica mondiale, femminista ma non solo, si è schierata ormai nettamente contro la pratica dell’utero in affitto. Che, come il mercato del sesso, a essere onesti osservatori altro non è che sopraffazione economica dei più forti sui più deboli. La proposta di legge presentata ieri non avrà vita facile: negli ultimi anni sono stati numerosi i tentativi di regolamentare la prostituzione, con l’aggiunta di idee balzane come l’istituzione di una 'zona a luci rosse' legale nella Capitale. E ci riproverà anche il Movimento 5 stelle: una consultazione via web tra gli iscritti ha decretato che tra le proposte di legge da presentare in Parlamento la priorità va a quella sulla riapertura delle case chiuse 'per la lotta alla prostituzione clandestina'. Paradossale: la prostituzione ai Cinque Stelle (ma non a tutti: c’è già stata la rivolta delle pentastellate al governo di MIra, nel veneziano) piace alla luce del sole, ma nelle case chiuse. Basterebbe fare un salto in Germania, dove il sesso a pagamento è legale, per capire che si tratta di un’illusione: il mercato nero è ancora fiorente, in mano alla criminalità e non dà il gettito fiscale che ci si aspettava. Oppure nei Paesi Bassi, dove il 75-80% delle donne nelle case a luci rosse è stata oggetto di tratta. Dunque per proteggere le vittime metterle in vetrina non è sufficiente. I detrattori sostengono che non lo sarà nemmeno sanzionare i clienti, pratica peraltro già in uso in numerosi Paesi nordici con il risultato di un calo della prostituzione fino al 60 per cento. Bisognerà prendere esempio dalla Svezia, dove dal 1999 accanto alle sanzioni per i cosiddetti clienti si è investito in educazione civica: significa parlare della parità tra uomo e donna, della protezione dei minori, dell’integrità della persona, del senso di una sana affettività. E, soprattutto, della insopprimibile dignità di ogni essere umano.
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