mercoledì 14 ottobre 2009
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La soppressione dell’immunità parlamentare fu, 16 anni fa, lo sbocco conseguito quasi a furor di popolo per una situazione manifestamente intollerabile: lo scudo della libertà dei legislatori era diventato la difesa di privilegi insopportabili. Le legislature successive, negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, hanno però dimostrato che se, da un lato, la misura non ha impedito che mentalità e atteggiamenti di "casta" continuassero ad allignare in settori del Parlamento e delle istituzioni, dall’altro, ha fornito il combustibile per il moltiplicarsi dei cortocircuiti tra il potere giudiziario e i poteri legislativo ed esecutivo. Una condizione (quasi patologica) di contrasto, che mortifica il prestigio delle istituzioni, mette in questione la corretta funzionalità della "macchina" della Repubblica e induce a interrogarsi su come rimettere in asse gli ingranaggi fondamentali delle istituzioni. Ed è infatti di un’opera di questo tipo che oggi si avverte l’urgenza.C’è da ripristinare uno stile di rispetto reciproco, senza riserve, tra i poteri dello Stato, ciascuno custode di prerogative da esercitare con serietà e dedizione, senza nulla concedere a slanci polemici e derive, volta a volta, di stampo giustizialista o simil-peronista. Governo e Parlamento devono poter promuovere le riforme che, in coerenza col dettato costituzionale, ritengono utili per il buon funzionamento dello Stato, ma nessuna buona riforma dovrebbe mai giustificare il sospetto di essere dettata da propositi di rivalsa o, addirittura, di punizione e di vendetta. Se perciò si decidesse, davvero, di reintrodurre – nella sua forma originaria o in una versione in qualche modo aggiornata – l’immunità parlamentare, bisognerebbe che risultasse ben chiaro che la situazione nella quale quest’istituto verrebbe calato non è, neanche lontanamente, quella degli anni nascenti della Repubblica (quando il confronto era tra personalità poderose e sotto il segno delle grandi ideologie), ma quella dei nostri anni post-ideologici. Il tempo di un’opinione pubblica disorientata e indignata da scandali e delusioni, restia a tributare credito a leader e comprimari qualsiasi titolo esibiscano e qualunque mandato rivendichino di aver ricevuto, scettica sulle effettive motivazioni e sui reali obiettivi di chi, ai vari livelli, è responsabile della cosa pubblica.Perché una rinnovata immunità parlamentare non sia sentita come l’ennesimo affronto di un gruppo di "eletti" nei confronti di un popolo suddito, sarebbe indispensabile un’istruttoria meticolosa e non banale. Sarebbe necessario comunicare al Paese – e non certo in forma di slogan, ma con comportamenti adeguati – l’adesione piena e trasparente della classe politica, a cominciare dai suoi vertici, a un’intransigente etica pubblica, basata sul rispetto severo delle regole, sulla specchiata dedizione al bene comune, sulla rinuncia a logiche "difensive" di corporazione. Ma sarebbe anche inevitabile garantire una di nuovo limpida procedura di selezione del personale politico, che non potrebbe essere più scelto, come accade oggi, per cooptazione dei capipartito tramite liste bloccate, ma dovrebbe essere di nuovo indicato dalla libera preferenza dei cittadini.E bisognerebbe fosse ben chiaro che, anche "congelando" (sino a fine legislatura) la chiamata del parlamentare in carica nelle aule di tribunale, non potrebbe essere mai evitata quella dinanzi al corpo elettorale. L’altra faccia dell’immunità dei legislatori è, deve poter essere, la continua e, ogni volta che serve, arcigna vigilanza, esercitata dai cittadini-elettori col supporto della libera stampa.
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