mercoledì 20 novembre 2013
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Caro direttore,
posso esprimere su 'Avvenire', giornale da te ottimamente diretto, il mio sconcerto, per non dire altro, per la caotica, pericolosa, irresponsabile situazione socio­politica della nostra Italia in questo periodo che ormai sta diventando enormemente lungo? Cose che per una vita (ho 82 anni di età) sono state ritenute semplici e adesso sono diventate complicatissime, autentico capovolgimento di metri di giudizio e di concetti basilari. 1) Per 'salvare' una persona si dovrebbe sacrificare una nazione intera e tu e i lettori avete capito a chi mi riferisco. Per 'salvare' poi che cosa? Un posto da senatore. A me hanno insegnato che la Patria si serve e non viceversa! 2) Fino a ora l’Unione Europea ha rimproverato gli Stati membri 'spreconi', non bene organizzati perché non fanno le riforme, fra le quali le cosiddette privatizzazioni, sollecitandoli a mettersi in riga mediante una politica di rigore che comporta gravi sacrifici per le classi più deboli. Ora invece l’Ue rimprovera la Germania perché è ordinata, lavora, produce tanto ed esporta molto. E allora, direttore, il libero scambio, l’economia di mercato, la libera intrapresa che fine fanno? Non dovevano mettere a posto tutto bastando l’incontro tra domanda e offerta? Dobbiamo così tornare alla Politica che regoli l’economia. 3) Veniamo all’ultima... (come dire?) 'trovata'. Chi è padre e madre tale rimane per tutta la vita e si può essere tali anche per adozione. Io sono per la famiglia, padre uomo e madre donna come sin dall’inizio dell’umanità e in ogni latitudine. Non sono contrario a regolarizzare gli altri tipi di convivenza. Ma sostituire 'padre' e 'madre' con 'genitore 1' e 'genitore 2' mi sembra una clamorosa topica. 'Genitore' significa 'che ha generato' e come si fa a chiamare 'genitore' colui o colei che non ha generato, né con metodi naturali né per adozione, il minore verso il quale per modalità diverse deve provvedere a un esercizio di tutela? Caro direttore, qualcuno mi sa rispondere?
Nicola Molè​, Terni
Non sono certo io, caro e saggio amico, a poter rispondere a quella tua terza domanda. So che paternità e maternità possono essere vissute anche da chi non è 'genitore' in senso naturale, ma lo è su un piano morale e spirituale, magari come risposta a una vocazione al dono di sé a vantaggio degli altri e soprattutto dei bambini. Questa dimensione umana e questo slancio civile noi cristiani li conosciamo bene sia grazie a testimoni eccezionali portatori (e fondatori) di grandi carismi, sia per mezzo della vita, diciamo così, ordinaria di tantissimi preti, suore e laici, di un piccolo e semplice esercito di uomini e donne di fede. Eppure non mi risultano mai richiamati o anche solo evocati quella preziosa dimensione e quel disinteressato slancio da chi oggi invoca dei 'diritti civili' che in realtà prefigurano, attraverso l’espansione di un proprio presunto diritto a una vita matrimoniale che non è affatto sinonimo di vita affettiva, dei veri e propri 'diritti sugli altri': i bambini, anzi i figli. Non a caso l’obiettivo – non il più alto, ma certo il più immediato e il più simbolico – della polemica rivendicazione, è diventato la rimozione del concetto stesso di 'madre' e 'padre'. Quanto, caro Nicola, alle contraddizioni sottolineate dalle altre due questioni che poni, anche da giurista attento e fine quale sei, sono così palesi che io posso solo ripeterti e ripetermi. 1) Un vero statista mai mette il proprio interesse avanti a quello generale, proprio mai. A mio giudizio, per quel che vale, meglio avrebbe fatto Silvio Berlusconi a condurre la propria legittima battaglia politica e giudiziaria contro quella che ritiene una condanna ingiusta dopo essersi dimesso da senatore, perché – decadenza o non decadenza – tra breve dovrà comunque lasciare lo scranno per «interdizione dai pubblici uffici». E una sentenza passata in giudicato, in Italia, per fortuna, si può riformare solo per vie rigorose e proprie, non certo a colpi di comizi. 2) L’Unione Europea o si dà regole e solidarietà garantite da una politica davvero con la 'P' maiuscola o finirà per rompersi, e non per disordine concettuale o meramente organizzativo, ma per insostenibile ingiustizia e disparità in un mercato interno e in un’area monetaria che sembrano gabbia e non Comunità (lo dico così, in poche battute terra terra: noi italiani e mediterranei non possiamo pensare di vivere al di sopra delle nostre possibilità grazie alla 'forza' dei nordici, tedeschi in testa, ma i nordici non possono neppure illudersi di continuare a fare ancora più affari grazie alle nostre vecchie 'debolezze' accentuate da un cappio asfissiante). Infine, tornando alla questione delle unioni tra persone dello stesso sesso, una notazione che peraltro ho molte volte fatto: pensare di dare nuove e appropriate regole a relazioni interpersonali (che non sono solo a carattere sessuale) diverse da quelle matrimoniali non è un assurdo, anzi. Più solidarietà non potrà mai dispiacere o addirittura impaurire chi, come noi, crede per davvero, e si sforza di contribuire, a società più coese e giuste per tutti e con tutti. Purché si imbocchi una strada che non imiti insensatamente il matrimonio tra un uomo-padre e una donna-madre e non riduca i figli a 'diritti' da reclamare e ottenere, o addirittura da 'produrre', a ogni costo. Passerà anche questo lungo inverno del nostro sconcerto, caro avvocato. E non sarà mai troppo presto.
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