mercoledì 9 ottobre 2013
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Gentile direttore,
dopo i tragici accadimenti di Lampedusa sarebbe ora che si parlasse chiaramente del commercio di armi e armamenti verso i Paesi da cui provengono questi poveri disgraziati, perché in fuga da guerre, faide e dittature che durano anni. Si spendono tante parole, si è pronti a invocare interventi e aiuti, per carità utilissimi, ma la base del problema non si affronta mai o raramente. Una produzione anche italiana e un commercio mondiale, un giro d’affari enorme, che tutti ben conoscono, Europa in testa, ma volutamente ignorati nei discorsi ufficiali. Fino a quando? Un caro saluto e buon lavoro.
Claudio Donati, Villasanta (Mb)
La sua amara indignazione ha fondate ragioni, gentile dottor Donati. Noi di "Avvenire" – e, devo dire, per fortuna e per coscienza non da soli – scriviamo da anni e con continuità dello scandalo delle enormi spese per le armi in Paesi in via di sviluppo. Governanti e politici se ne occupano molto, ma in pubblico ne ragionano infinitamente di meno. È un fatto che anche in questo settore, anzi soprattutto in questo settore, c’è una straordinaria propensione a fare – è proprio il caso di dirlo – "orecchi da mercante"... E tuttavia non ci rassegniamo, perché non possiamo permettercerlo e perché nessuno sforzo è inutile quando va nella giusta direzione. Neppure dimentichiamo, però, che – oggi come mai prima nella storia del mondo – le guerre si combattono non più solo a colpi di missili, cannoni e mitra. Ci sono guerre condotte muovendo attacchi e organizzando invasioni di natura finanziaria, pianificando speculazioni persino più rapaci e portatrici di disperazione e morte degli antichi e recenti saccheggi di città e campagne. E questo perché ci sono pratiche e interi sistemi oppressivi cinicamente e mellifluamente basati su quella che Papa Francesco chiama l’«idolatria del denaro», che è ostile nella stessa misura – e con la stessa pretesa di annichilimento – a Dio e all’uomo. Il denaro è solo uno strumento, e può anche essere usato benissimo. Il problema è quando ci si fa usare dallo strumento... Quanto agli interventi e agli aiuti umanitari, è vero che non lavano le coscienze sporche, ma – come anche lei sottolinea – essi sono «utilissimi» quando è in gioco la dignità e la sopravvivenza di esseri umani privi di tutto e indifesi. Non ci si può tirare indietro. E io in questi giorni non riesco a togliermi dalla testa soprattutto i profughi eritrei rinchiusi nei vecchi lager dei nuovi signori di Libia, quelli che hanno preso il potere grazie alla guerra e alle armi di noi occidentali. Niente, anche lì, è cambiato per i più poveri e deboli: donne stuprate dai loro "guardiani", uomini umiliati, ragazzi cresciuti nell’orrore. Abbiamo scritto anche di questo, caro amico, e non smetteremo. Stavolta non c’è da bombardare, c’è da fare le cose giuste: installare in Nord Africa civili e più che temporanei campi profughi sotto bandiera e gestione Onu, aprire e far aprire gli occhi su regimi come quello eritreo che producono profughi, costruire e mantenere "corridori" umanitari via terra e via mare, stroncare gli affari dei mercanti di esseri umani... Cose giuste che sono anche difficili da realizzare, ma che sono tutte necessarie e tutte possibili. Fino a quando l’Europa e l’intera comunità internazionale continueranno a non voler sapere, a non voler capire, a non voler agire?
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