Senso e limiti delle intercettazioni: il dovere di tornare alla Costituzione
sabato 20 maggio 2017

Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo di Mario Chiavario «Intercettazioni tra dovere e sospetto» ("Avvenire" del 19 maggio). «Sì: sappiamo tutti che in Italia mai si trovano i primi responsabili della rivelazione»: dubito che questo accada perché il Csm tutto archivia. Penso che le intercettazioni siano un mezzo necessario per il raggiungimento della Verità (e solo questo dovrebbe essere il fine). Vanno tenute segrete e solo quando "devono" essere utilizzate e pubblicate per il giudizio possono essere conosciute: tutto il resto va conservato (oggi che non vi è problema di spazio) perché hanno un costo e potrebbero essere utili per altre indagini giudiziarie. Ma perché «mai si trovano i primi responsabili della rivelazione»? Forse perché ben poca cosa (se non niente) risale ad amministrativi sempliciotti o ad avvocati avventurosi. E non si investiga su «quello che, lo si voglia o no, è un reato». Non vedo, infine, perché bisognerebbe ripiegare sul fatto che «basterebbe però un unanime rispetto di elementari regole deontologiche della professione giornalistica», poiché il giornalista non è un "servitore" della Giustizia, ma dovrebbe esserlo della informazione (veritiera).
Mario Grosso, Gallarate (Va)


La penso sostanzialmente come lei, caro dottor Grosso. Del resto, di intercettazioni e del loro uso ho scritto molte volte (e ogni volta che ho potuto farlo, ho chiarito questo pensiero anche in seno al dibattito in corso da anni tra noi giornalisti): si tratta di strumenti eccezionali e in diversi casi eccezionalmente preziosi (nella lotta alla mafia, al terrorismo, alla corruzione...) che devono essere posti in modo rigoroso all’esclusivo servizio della giustizia e in nessun modo di operazioni politico-mediatiche. I cronisti come me hanno certamente espliciti doveri deontologici, che si condensano in un dovere di servire la verità dei fatti e la libertà dei lettori-ascoltatori-spettatori che non assolve dalle irresponsabilità, dalle illegalità e dal rispetto dei diritti umani fondamentali. In questo senso ho valutato e condiviso l’annotazione del professor Chiavario nell’editoriale che lei cita. Bisogna, però, anche dire che i cronisti non possono diventare i capri espiatori per l’uso distorto e la ingiusta divulgazione dei risultati di attività di controllo di telefonate et similia. I magistrati e i loro collaboratori, i legali, gli operatori tecnici e delle forze di polizia sono i primi responsabili e, in diversa misura, custodi di ogni informazione raccolta attraverso l’intrusione e il monitoraggio esercitati riguardo a qualsiasi forma di comunicazione tra le persone. E sono, come tutti sanno, le "fonti" di quanti fanno informazione.
Andiamo, perciò, alla base. Ricordo spesso il principio scolpito nell’articolo 15 della Costituzione repubblicana: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Più chiaro di così non potrebbe essere. I padri costituenti non ebbero tentennamenti nel decidere di archiviare per sempre gli anni delle occhiute intromissioni della polizia segreta fascista, l’Ovra, nella vita degli italiani. E l’argine alzato davanti a ogni abuso è, sulla carta, definitivo. L’aggettivo inviolabile/inviolabili nella nostra Costituzione viene utilizzato soltanto cinque volte. La prima all’articolo 2 per definire e richiamare i «diritti dell’uomo», poi – in sequenza – per valorizzare al massimo la libertà personale (art.13), il domicilio (14), la difesa in giudizio (24). In questa serie si inserisce, appunto, il presidio stabilito all’art.15. E continua a farmi riflettere, con gratitudine e al tempo stesso con amarezza, da cittadino, che la nostra Legge fondamentale leghi saldamente il concetto di «limitazione» della «libertà e segretezza» delle comunicazioni interpersonali a quello di «garanzie» per la persona letta, ascoltata, monitorata chiamando in causa direttamente autorità giudiziaria (l’unica che può «motivare» la limitazione della stabilita inviolabilità) e legislatori (coloro che sono tenuti a impedire normativamente eccessi). Penso che in Italia dobbiamo essere capaci di tornare in modo convinto e coerente a questo quadro di legalità e di giustizia e, prima ancora, di civile e umano rispetto.

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