Le toghe e il bene comune dell'autonomia e della fiducia
sabato 26 settembre 2020

Da oltre un anno, a seguito dello 'scandalo romano' che ha visto interessati ex-componenti di estrazione togata del Consiglio superiore della magistratura e che ha indotto alle dimissioni alcuni componenti in carica nella attuale consiliatura, il Csm è oggetto di attenzione quotidiana da parte dei mezzi di informazione. Il fatto sarebbe da valutare con qualche interesse, come segno di una maggiore attenzione verso un organo statale tanto importante quanto poco conosciuto, se non fosse che tale attenzione pare dipendere, più che dalla volontà di comprenderne le caratteristiche e il funzionamento, dalla ben diversa circostanza che, nella vicenda «sconcertante e inaccettabile » (sono parole del presidente Mattarella) che ha scosso il Consiglio, gran parte della pubblica opinione vede la conferma di convincimenti radicati circa la caparbia attitudine di settori della magistratura e della politica a confondere i ruoli, a influenzare impropriamente procedimenti delicati e a privilegiare lo spirito di corporazione rispetto alla sempre faticosa ricerca dell’interesse generale.

Dunque, piuttosto che un aumento della conoscenza obiettiva dei caratteri del Csm e del suo ruolo, l’esito di tale sovraesposizione mediatica rischia di andare nella direzione di un aumento della sfiducia nei confronti dell’organo e dell’intera magistratura: a causa sia dello status soggettivo di magistrati rivestito dai protagonisti della vicenda, sia, più in generale, dell’interdipendenza tra la reputazione del Consiglio e quella della magistratura, tra la fiducia nei confronti del primo e le ricadute nei confronti della seconda. In questa situazione, è forte il rischio di confondere la qualità del modello costituzionale di magistratura e di Csm con alcune sue deviazioni pratiche, scambiando la causa con l’effetto e dimenticando che, ancora recentemente, il nostro modello è stato oggetto di interesse e di attenzione da parte del mondo istituzionale e accademico sia tedesco-federale sia francese: due ordinamenti nei quali sta crescendo la coscienza che soltanto un quadro costituzionale di garanzia non soltanto dell’indipendenza, ma anche dell’autonomia della magistratura, può permettere alle democrazie di resistere alle tendenze illiberali e autoritarie che si manifestano in questi anni di crisi economica e morale.

Proprio la consapevolezza di tale rischio ha indotto l’Associazione Vittorio Bachelet, che da quasi 40 anni opera sui temi della giustizia e della giurisdizione, a promuovere nei giorni scorsi un incontro di riflessione, via web, dedicato appunto al modello italiano di magistratura e di Csm alla luce di cambiamenti recati dal ddl sull’ordinamento giudiziario, approvato dal Consiglio dei ministri ad agosto e prossimo alla presentazione alle Camere. Dopo l’introduzione di chi scrive e le relazioni di Daniela Piana, Roberto Romboli e Luciano Violante, si è sviluppato un ampio dibattito, concluso da Giovanni Mammone, che ha visto la partecipazione di autorevoli magistrati e costituzionalisti, di due exministri della Giustizia e di componenti in carica e cessati del Csm. Importante l’unanime consenso registrato sulla proposta di 'approfittare' della situazione contingente, che vede la presenza di numerosi membri del Csm subentrati nel corso della consiliatura, per fare valere nel suo significato proprio e letterale l’art. 104, comma 6, della Costituzione («I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni»), e pertanto avviarci sulla strada del rinnovo parziale, che assicuri una maggiore continuità nell’organo e attenui la maggiore 'politicità' insita nel rinnovo integrale di tutti i componenti.

Una 'piccola' riforma, che non richiede revisione costituzionale, ma dagli effetti probabilmente assai rilevanti. In sostanza, anche in quella sede, è venuto un invito, forte e argomentato, al Governo perché presenti al più presto il ddl e al Parlamento perché celermente ne avvii l’esame, dando spazio alle proposte di miglioramento del testo: da più parti pervenute: dimostrando così di volere intendere il messaggio, di per sé ambiguo, costituito dall’approvazione della legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari, come uno stimolo a un maggiore ruolo delle Camere. Quasi a conferma dell’esigenza, largamente avvertita, di avere più senso delle istituzioni nella vita politica, ma anche più senso politico (inteso come attenzione alla polis, alle sue diverse sfaccettature e al pluralismo che la contraddistingue) nella vita istituzionale.

Presidente dell’Associazione Vittorio Bachelet

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