sabato 30 novembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI

Ripiegati su noi stessi, ricurvi sotto il peso della crisi e in continua polemica con gli eurocrati di Bruxelles, non ci siamo quasi accorti di quel che sta avvenendo sull’uscio di casa, nell’oriente estremo del nostro Vecchio Continente. Mentre in tutti i Paesi della Ue dilaga l’euro-scetticismo, a ridosso dei nostri confini c’è chi s’aggrappa alla bandiera blu con dodici stelle come simbolo di speranza. Incredibile, ma vero. Da alcuni giorni a Kiev, sulla centralissima Maidan, la piazza dove nove anni fa scoppiò la rivoluzione arancione, migliaia di manifestanti sventolano i vessilli dell’Unione Europea in segno di protesta per la decisione del governo ucraino di sospendere il negoziato con Bruxelles in vista del trattato d’associazione. Spettacolo commovente e sconcertante: c’è ancora qualcuno che crede nell’Europa unita e la vede come un punto d’approdo, un traguardo di democrazia e di benessere, un marchio di progresso e di civiltà. Sono loro che si sbagliano, giovani all’inseguimento di un sogno che un tempo era anche il nostro, o siamo noi che l’abbiamo tradito?

L’incontro che si è chiuso ieri a Vilnius ha sancito il fallimento del "Partenariato orientale" che i ventotto Paesi dell’Unione Europea intendevano sottoscrivere con sei Stati dell’ex Unione Sovietica. Un fallimento sostanziale, anche se attutito dalla firma di Georgia e Moldavia, gli unici due che hanno aderito al trattato di libero scambio con la Ue. La grande delusione è venuta dall’Ucraina, il Paese più esteso d’Europa, partner strategico decisivo per la sua posizione geografica e le sue risorse naturali. Con un voltafaccia dell’ultimo minuto il presidente Janukovich ha annullato la sigla dell’accordo di associazione, interrompendo così in modo brusco il cammino che avrebbe condotto la sua nazione nell’Unione Europea. L’Ucraina è una "terra di confine", segnata da divisioni profonde. C’è un’Ucraina che ha vivo il senso dell’identità nazionale e parla la propria lingua con fierezza, e un’Ucraina che si sente legata a Mosca e preferisce parlare il russo. Il presidente Janukovich rappresenta soprattutto questa seconda ed è contestato dalla prima. Ma nel suo rifiuto tutti hanno visto la longa manus di Putin che non ha risparmiato pressioni e minacce per mantenere Kiev nell’orbita di Mosca, da un lato con Gazprom tornata a richiedere il pagamento del debito ucraino per il gas russo e, dall’altro lato, con la promessa di agevolazioni e ingenti aiuti economici ben superiori ai pochi spiccioli (610 milioni di dollari) messi sul piatto dalla Ue.

Il ricatto del Cremlino ha funzionato e Putin può vantarsi di un altro grande successo in campo internazionale, dopo aver sbarrato la strada all’intervento di Obama in Siria, convinto Assad a sbarazzarsi delle armi chimiche e rivestito i panni del protettore dei cristiani perseguitati in Medio Oriente, dando una prima concreta (e purtroppo solitaria) risposta agli appelli e alle crescenti preoccupazioni del Papa da cui si è recato in visita lunedì scorso. Il protagonismo del leader russo mira a creare un nuovo polo geo-politico, un’Unione Euro-asiatica sulle ceneri dell’ex Urss che al momento ha preso forma nell’Unione Doganale con la Bielorussia, l’Armenia e il Kazakhistan e intende inglobare anche l’Ucraina. Un piano ambizioso al cui confronto i progetti della Ue sono apparsi deboli e velleitari.

Lo testimonia la gestione malaccorta del caso Timoshenko, l’ex premier e leader dell’opposizione ucraina, incarcerata nel 2011 e ora detenuta in un ospedale. E’ stato giusto chiedere la sua liberazione, o quantomeno la possibilità di curarsi all’estero, legando così il trattato d’adesione al rispetto dei diritti umani. Ma è stato un errore porre un automatismo tra i due eventi, dando per scontato che il parlamento di Kiev avrebbe votato una legge a favore di Julija Timoshenko. È successo il contrario e la Ue è rimasta spiazzata. Con grande generosità l’ex eroina della rivoluzione arancione ha invitato i leader europei a firmare il trattato con l’Ucraina rinunciando alla sua liberazione. Ma a questo punto il gioco era nelle mani di Janukovich e di Putin. E, se mai si riaprirà la partita, sarà la Russia a fare da arbitro. Peggio di così non poteva finire. A Kiev le bandiere blu con le dodici stelle sventolano invano.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: