martedì 11 agosto 2009
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Caro Direttore,mentre le vacanze sono il pensiero dominante di tutti quelli che se le possono permettere, in Francia sui giornali ha avuto risalto la notizia che il lavoro domenicale è anche lì definitivamente sdoganato. Superate le ultime resistenze, in tutte le località di interesse turistico (cioè buona parte del Paese) i sindaci potranno autorizzarlo. Sono stato colpito: sul Web non seguo abitualmente i giornali d’Oltralpe e pensavo ingenuamente che fosse così già da tempo. Approfondendo la notizia, ho scoperto che il dibattito lì è stato molto più acceso di quanto non si sia mai verificato in Italia e che l’approvazione in Parlamento è avvenuta sul filo: al Senato 165 a favore e 159 contro! Mi ha colpito in particolare la conclusione dell’editoriale dedicato all’argomento da "Le Monde" sabato 8 scorso: "Rimane che questo testo non cancella alcuna delle inquietudini che si sono manifestate in questi ultimi mesi. Per i dipendenti innanzitutto. Il principio del loro libero consenso è certo riaffermato; ma in un comparto economico in cui l’impiego è troppo spesso a tempo parziale e precario e in cui i sindacati sono assai poco presenti, questa libertà di scelta rischia di essere illusoria... Per la vita sociale e familiare poi. I consumatori saranno probabilmente avvantaggiati, in termini di comodità, se non di prezzi. Ma questa evoluzione si svilupperà inevitabilmente a detrimento di tutto ciò che tesse i legami collettivi al di fuori del lavoro: attività associative, religiose, sportive, rapporti coi figli e con gli amici... Si può seriamente dubitare che sia un segno di "modernità". Potremmo tornare a pensarci un po’ anche noi?

Marinella Ciriaco

Sottoscrivo anch’io la considerazione finale espressa dall’editoriale di Le Monde, se non altro perché ripropone un interrogativo tante volte sollevato discutendo il problema dell’espansione del  lavoro domenicale nel nostro Paese. Quale modernità, quale libertà, quale progresso, quale sostanziale miglioramento della vita si ottiene con l’apertura sempre più indiscriminata dei negozi nei giorni festivi? Stento a vederne, mentre i rischi - proprio quelli segnalati da "Le Monde" - sono concretissimi. L’apertura dei negozi anche la domenica si traduce in lavoro che per qualcuno è "forzato" (mentre in Francia, almeno formalmente, è tutelata la volontarietà della prestazione) e nella frantumazione dei rapporti che avevano nel giorno festivo l’occasione naturale di espressione. Tutte ragioni laicissime, com’è laico il giornale francese da lei citato, alle quali il richiamo alla dimensione religiosa della festa aggiunge ulteriori elementi di perplessità (e anche obiezioni sostanziose). Ma rimanendo in territorio "laico", mi chiedo se chi caldeggia il proliferare sempre più indiscriminato di queste aperture abbia davvero fatto dei conti economici accurati. Ammesso che in alcune situazioni possa trattarsi di un servizio apprezzato e gradito - in particolare le località ad elevata vocazione turistica specie nel periodo estivo -, mi pare che ci siano tante altre situazioni in cui l’unica cosa certa è l’aumento dei costi per l’esercizio commerciale senza alcuna garanzia di incrementi significativi di fatturato e con la controindicazione grave del disappunto dei propri dipendenti. Un fenomeno che, riverberandosi sui prezzi di vendita, ha in prospettiva, per tutti i prodotti non alimentari, l’effetto di aumentare il vantaggio degli operatori via Internet. Nel nostro Paese la loro quota di mercato è ancora esigua, ma è in costante crescita. Forse per il commercio è meglio scegliere altre strade che non spremere i propri dipendenti.
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