giovedì 19 maggio 2016
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M ilano, maggio – Il treno della metro arriva alla stazione della Linea 5 Zara e si ferma un sospiro di metallo. È mezzogiorno, saliamo in pochi. Mi guardo attorno, tutti i passeggeri hanno gli occhi fissi sul loro smartphone. Alcuni con le cuffie e altri no, ma colpisce come siano tutti assorti sul cellulare, quasi in un obbligo collettivo. Non uno che legga un giornale, o pensi ai fatti suoi. Uno sì, anzi. Un vecchio signore elegante in un impermeabile inglese, che osserva, perplesso. Tutti a carezzare con il pollice destro l’iPhone, digitando. Mi domando cosa ci attanagli, per non potere stare disconnessi un momento. Il treno intanto, di quelli nuovi, senza il conducente, corre sotto Milano. Dal vagone di testa si vedono i binari lucenti che si perdono nel buio. È affascinante questa prospettiva di viscere metropolitane, ma solo un bambino insiste per sedersi davanti, a guardare. L’altoparlante annuncia: Isola. Poi, Garibaldi. Nuovi passeggeri si siedono e dopo un istante estraggono il telefono e cominciano a digitare. Sms? Ma quanti ne devono inviare? WhatsApp, decine di WhatsApp forse. O email? O magari girano su Facebook, mandano selfie, scherzano, litigano. Leggono le ultime notizie, di minuto in minuto. E sembrano cercare tutti qualcosa, insistentemente, senza sapere che cosa. Questa signora filippina, l’aria da colf stanca, per esempio, cosa si aspetterà dal suo smartphone? Il messaggio di un fratello da Manila, un saluto, o magari la grande notizia, il sogno: una vincita all’enalotto. Per cui non debba più alzarsi alle sei ogni mattina, e correre dall’altra parte della città a faticare. E la ragazzina con lo zaino, assorta tanto sul cellulare che solo all’ultimo istante si accorge che deve scendere? Un pigolio continuo di beep testimonia che riceve un sacco di messaggi, e lei legge e di nuovo scivola in giù col dito, al prossimo. Ma non è nemmeno questo il messaggio giusto, quello che aspetta. Il treno intanto costeggia il perimetro del Cimitero Monumentale, forse, mi dico, il suo rombo sfiora la città dei morti, come una carezza di vita. Il vecchio è sceso. Un po’ a disagio, quasi a darmi un contegno, anch’io prendo in mano il mio cellulare. Guardo il sito di un giornale, inciampo in tre pubblicità, poi in un oroscopo. Email insignificanti, un sacco di spam. «Vengo a casa per cena», annuncia il WhatsApp di un figlio. «Che cosa mangiamo?», rispondo io, indolente. Una fiera di parole irrilevanti. Il treno va, noi a capo chino, intenti. Tanta ostinazione però fa pensare che cerchiamo davvero qualcosa. Un annuncio, che trasfiguri questo lunedì piovoso. Qualcosa di cui essere felici finalmente, e per sempre. Che cosa chiediamo in verità ai nostri cellulari? Forse potremmo fermarci un attimo, e, finalmente disconnessi, domandarcelo. © RIPRODUZIONE RISERVATA in un giorno come gli altri
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