venerdì 9 agosto 2013
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Salutato senza rimpianti il disastroso, avventurista, ultra-radicale Mahmoud Ahmadinejad, l’Iran ha ora quale suo nuovo presidente il conservatore pragmatico Hassan Rohani, che si è insediato in questi giorni dopo l’inaspettata vittoria al primo turno nelle elezioni dello scorso giugno. La comunità internazionale cerca ora di capire – nell’intricato e complesso sistema di potere iraniano – cosa mai ci si possa aspettare da lui nei prossimi quattro anni.Subito dopo la sua elezione, il presidente è stato talora dipinto come un «riformista», che avrebbe riportato l’Iran appunto sulla strada delle riforme e come un possibile risolutore della decennale crisi sul programma nucleare, che da tempo tiene sul baratro di due opzioni egualmente disastrose: o la bomba iraniana o un Iran bombardato. Per altri, egli è solo una «maschera di regime» meno sconcia della precedente. Rohani non è né l’una né l’altra cosa: innanzitutto, è ben evidente come i suoi margini di azione, dentro e fuori il Paese, siano molto ristretti. Ben conosciuto per via dei negoziati nucleari, Rohani ha un consolidato rapporto con Khamenei: sa come parlargli e fin dove spingersi. Ma sa che ci sono limiti invalicabili per lui. Più che agire con decisione, dentro e fuori del Paese, egli può soprattutto «mandare segnali» e suggerire percorsi.
Da questo punto, la lista dei ministri che dovranno essere approvati dal majles (il Parlamento iraniano) è illuminante. Come ministro degli Esteri ha scelto Javad Zarif, l’ex ambasciatore all’Onu. Zarif è non solo l’uomo più adatto, ma rappresenta un messaggio chiaro all’Occidente proprio per il nucleare. Egli è l’esponente di punta del gruppo chiamato in Iran «quelli di New York» (perché hanno studiato o lavorato negli Usa) ed è giustamente considerato come moderato, competente e «ragionevole». Soprattutto Zarif ha lavorato per anni – in stretto contatto proprio con Rohani – sul file nucleare. È come se l’Iran mettesse in campo i suoi uomini migliori per farci capire che vuole raggiungere un compromesso. Ma non a tutti i costi. Che tutto ciò possa tradursi in un effettivo cambio di rotta sul nucleare è, infatti, una semplice speculazione che non si può ancora dimostrare. Il file nucleare è infatti ancora nelle mani del rahbar Khamenei e di un ristretto gruppo di potere dominato dai pasdaran.
Nei dicasteri economici abbondano riformisti, ex ministri dell’ex presidente Khatami – il quale ha, in questi anni bui, tenuto vivo con estrema prudenza e capacità il fronte riformista – e perfino uomini vicini al candidato del 2009, Mussavi, da quattro anni tenuto agli arresti domiciliari e senza contatti con l’esterno. Nomi che stanno irritando gli ultra-radicali e ci dicono quanto sia preoccupato Khamenei per il deterioramento delle condizioni economiche, se arriva a accettare candidati a lui sicuramente indigesti. È nel campo economico, quindi, che Rpasdaran. Nel Ministero delle Comunicazioni – un centro di potere ricchissimo, grazie agli enormi proventi della telefonia mobile – ha messo uno dei suoi uomini più fidati: gli ultra-radicali non potranno più usarlo come «bancomat ministeriale», come hanno fatto fino ad ora.
Invece, sul fronte dei dicasteri più sensibili (servizi segreti, giustizia, guida islamica, interno), i candidati proposti sembrano essere scritti sotto dettatura della Guida suprema: nomi che non entusiasmano i tanti elettori riformisti che hanno votato Rohani, o che addirittura li indignano, come nel caso di Mostafa Pourmohammadi alla Giustizia: la sua storia passata è fatta di brutali condanne, appoggio alle repressioni e alle violenze di regime.
Insomma, una politica che sembra annunciarsi fatta di piccoli, guardinghi passi (anche per evitare le tante trappole interne ed esterne). Ma la sensazione è che Rohani li voglia compiere nella giusta direzione.
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