domenica 6 dicembre 2009
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Caro Direttore, ascoltando le notizie mortificanti ed allarmanti sulla perdita dei posti di lavoro, mi viene di pensare alle tante ingiustizie volutamente ignorate: si piange per chi va in cassa integrazione per una settimana o 40 giorni o per più tempo. Nessuno dice quanti sono i disoccupati non tutelati da alcuna forma di ammortizzatori sociali ( è perfino offensivo ciò che è stato concesso ad alcuni dipendenti Alitalia). Chi non ha lavoro, non ha diritto ad alcunché. Si è lasciati a se stessi e si diventa prede facili del lavoro nero, tollerato volentieri dalle istituzioni. I più fortunati hanno ancora i genitori che aiutano. Fortunati e tutelati sono i dipendenti pubblici; nessuno si offenda, ne siano felici: nessun licenziamento, nessuna cassa integrazione, pensioni assicurate, pensionamenti facilitati e incentivati… Io sono un pensionato statale e mi reputo fortunato rispetto a tanti privi di lavoro o solo con la pensione minima. Clamoroso mi pare lo sfruttamento che operano le università nei confronti di coloro che hanno avuto la disavventura di credere nella ricerca o nell’insegnamento e lavorano sodo con un contratto annuo il cui importo può andare da 850 a 2- 3.000 euro: vero e proprio lavoro nero autorizzato. E dei costi della politica, degli stipendi dei politici ( la crisi non ferma i loro aumenti votati da tutti), dei manager, delle consulenze infinite, dei sindacalisti distaccati e pagati dallo Stato ( da noi)? Solidarietà è ormai termine lasciato al volontariato, non è base della giustizia sociale. La ricchezza in Italia c’è, ma è mal ripartita, male utilizzata e grandemente sprecata. La Caritas delle nostre parrocchie è impotente di fronte a tante situazioni drammatiche di famiglie senza lavoro, senza aiuti, dignitosamente silenziose.

A. A., pensionato

Non so se ovunque sia così, ma conosco anch’io università statali che retribuiscono con 40 euro all’ora di lezione, corsi di 30 ore, ai quali bisogna aggiungere "gratis" il lavoro di preparazione, gli esami e il tempo dedicato a seguire i laureandi. Con la beffa supplementare di ricevere l’importo magari l’anno successivo, e solo dopo aver esaurito gli esami dei frequentanti. Quale passione per il proprio lavoro può provare chi è trattato in questo modo? È uno dei tanti guasti del nostro sistema universitario, oscillante tra rendite baronali e precarietà da accattoni. Non diversamente da ciò che accade in politica, con parlamentari, l’ultimo arrivato dei quali guadagna più del segretario di Stato Usa, e moltissimi amministratori locali con indennità irrisorie, pur a fronte, talvolta, di un grande impegno a servizio della propria comunità. Le ristrettezze che sempre più ci avvincono, a causa della crisi economica, accentuano la percezione di ingiustizia che si accompagna a queste situazioni e a quelle descritte nella sua lettera. Ma ecco che dalla stessa crisi, facendo tesoro delle lezioni ascoltate dal Santo Padre e dal Capo dello Stato, coi messaggi di fine/inizio anno, può innescarsi un processo finalmente virtuoso. La vita pubblica deve riguadagnare decoro e prestigio, non per i privilegi che accumula ed esibisce, ma per la probità e la dedizione da cui è caratterizzata. È questa l’unica via in grado di ripristinare quella solidarietà che non può essere guardata, con benevolenza sentimentale, come l’ingenua generosità dei volontari, ma trama indispensabile per una società coesa ed equa. Davvero Buon Anno!

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