domenica 1 maggio 2011
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Gentile direttore, sono un internista "in quiescenza", che ha superato gli ottant’anni.Venerdì 29 aprile in 'filo diretto' (Prima pagina, Radio3 ) ho sentito un medico che si chiedeva se la Chiesa sia coerente contro l’eutanasia partendo dal fatto che Giovanni Paolo II ha rinunciato alle terapie nella fase terminale. Il giornalista di turno ha girato il problema agli ascoltatori... che decidano loro. Si dà il caso che il Papa fosse pienamente cosciente e avesse tutto il diritto di rinunciare a terapie che potevano configurare un 'accanimento terapeutico'.

Ulisse Drago

In realtà, caro dottor Drago, il suo collega medico ha compiuto al telefono di Prima Pagina un’operazione ben più capziosa (e mi scusi se concentro solo su questo assai importante punto la sua bella lettera e la mia risposta, ma lo spazio oggi mi è tiranno più del solito).Come altri propagandisti dell’eutanasia, quel signore ha cercato di usare e snaturare una frase di Giovanni Paolo II ormai morente: «Lasciatemi andare». E il conduttore di turno della trasmissione, Massimo Mascini, direttore della testata web "il Diario del lavoro", non conoscendo i fatti e dando per buona l’interpretazione dell’altro, ha purtroppo dato sostanzialmente ragione al suo occasionale interlocutore.Basterebbe la chiarezza della vita, del magistero, della testimonianza cristiana e umana di Papa Wojtyla per rimettere le cose a posto. Ma c’è di più. Il medico che curò Giovanni Paolo II in quella fase terminale della sua infermità – il professor Rodolfo Proietti, primario di anestesia e rianimazione al Policlinico Gemelli – ha infatti testimoniato pubblicamente e con commozione su Avvenire e in tv (da ultimo su Rai1 il 27 marzo scorso in un bel colloquio a cuore aperto con Lorella Cuccarini) che il Papa mai rivolse quelle parole a lui stesso o ad altri sanitari, ma che le aveva indirizzate alla 'famiglia pontificia' (il segretario personale e gli altri collaboratori e amici più stretti) raccolta in preghiera attorno al suo capezzale in Vaticano. La verità è che Papa Wojtyla disse a chi l’amava e che lui amava di più, a coloro con i quali aveva condiviso e condivideva la quotidianità, di non continuare a "tenerlo lì" con la forza dell’amore e dell’orazione a Dio. Chi tenta ancora di mistificare su questo si avventura in un estremo e, anche solo umanamente, intollerabile insulto. C’è e ci sarà sempre chi fa male e «non sa quel che fa». Il beato Giovanni Paolo II avrebbe saputo perdonare, noi possiamo sforzarci di imitarlo.
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