sabato 21 settembre 2013
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L'ottimista pensa che siamo nel migliore dei mondi possibili, il pessimista teme che purtroppo sia vero. L’uomo di speranza, a differenza degli altri due che osservano il problema con distacco, si carica sulle spalle la sua parte di responsabilità perché pensa che esista uno spazio enorme di progresso affidato alla sua iniziativa. Applichiamo il ragionamento alla finanza.Per molti il fatto che i "lanciatori di coltelli" della speculazione esercitino la loro destrezza sopra le nostre teste è un dato ineluttabile del paesaggio dei moderni sistemi economici. E così il fatto che esistano banche sistemiche più grandi di Stati, banche metà commerciali e metà speculative e che – come ci ricorda un recente studio di Mediobanca – gestiscono con motivazioni puramente speculative (attraverso acquisti e vendite a brevissimo termine) strumenti derivati al 97%. Altrettanto inevitabile sarebbe anche che questi attori del mercato finanziario privatizzino i profitti, scaricando in vario modo le perdite delle loro attività spericolate su tutti i contribuenti, e riducano l’efficacia delle politiche monetarie, usando la moneta abbondante per attività speculative invece che per il credito a cittadini e imprese. Il mondo in cui viviamo è stato efficacemente descritto da Piercarlo Padoan, capo economista Ocse, quando qualche giorno fa ha affermato che la speculazione vede oggi nella Ue il bicchiere mezzo pieno (bontà sua) e perciò ha deciso di concentrare le sue forze contro i Paesi emergenti.Ma noi, e non solo noi, ormai sappiamo che basta un solo euro di capitale in una banca di microfinanza per produrne 15-18 di valore reale che promuove inclusione e uscita dalla povertà. E sappiamo che è possibile appartenere alla schiera di quelli che non solo sperano, ma si impegnano per costruire un diverso rapporto tra finanza ed economia reale. A mezzo secolo dal famoso "discorso del sogno" di Martin Luther King, tanti uomini e tante donne – certamente i promotori e sostenitori della campagna "005" che raccoglie una vastissima rete di organizzazioni della società civile in Italia e in Europa – hanno oggi un altro sogno: cambiare il mondo della finanza. Come? Attraverso una tassa sulle transazioni finanziarie, la separazione tra banca commerciale e banca d’affari, la regolamentazione molto più stretta sull’uso dei derivati e della finanza ombra. L’Unione Europea da tempo ha avviato un processo di cooperazione rafforzata per l’approvazione di una Tobin tax comunitaria, e Francia e Italia hanno anticipato i tempi introducendo la tassa a livello nazionale seppur con gravi limiti. In particolare l’applicazione solo sui saldi di fine giornata e non su ogni singola operazione finisce per mancare l’obiettivo principale della tassa stessa che è quello di frenare il trading ad alta frequenza (come sottolineato da tutti i sostenitori storici della tassa da Tobin, a Keynes a Warren Buffet).Le notizie girate in questi giorni su alcuni giornali sono imprecise. L’attuale «originalità» della tassa italiana è quella di colpire i flash trades (gli ordini postati e non eseguiti con i quali alcuni operatori cercano di influenzare la direzione del mercato), ma non ancora il trading ad alta frequenza che può agire indisturbato finché, come detto, si tasseranno solo i saldi di fine giornata. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha aperto nell’ultima settimana di Agosto una "finestrella" di processo di consultazione sull’applicazione della Tobin tax italiana. Una settimana alla fine dello scorso agosto, come in quei bandi pubblici a cui si spera non si iscriva nessuno eccetto il fortunato predestinato. Eppure il messaggio principale per il Ministero è stato quello di riportare la Tobin tax, stravolta dalla pressione delle lobby, alle caratteristiche del progetto della Ue (con tassazione non solo sui saldi a fine giornata). E soprattutto di superare l’ansia e l’opposizione all’applicazione della tassa sul mercato secondario dei titoli pubblici in sede di trattativa comunitaria.La preoccupazione di un aumento dello spread è senz’altro legittima, ma tutti gli studi sui dati e la stessa riflessione della Ue sul tema sottolineano che l’effetto della tassa sui prezzi è nullo. Al contrario, essendo tassati solo i titoli sul secondario e non sul mercato primario (che è quello che decide il costo del debito pubblico), ci potrebbero persino essere effetti di aumento di domanda sul primario con impatto positivo sul costo del debito stesso.Se gli obiettivi del bene comune, dell’equità nella ripartizione tra costi e benefici della globalizzazione della finanza e della stabilità finanziaria sono per noi superiori a quello del numero di transazioni sui mercati e degli utili a breve dei giganti troppo-grandi-per-fallire, non c’è insomma tempo da perdere. La cosa più urgente da fare è "riformare" la finanza.
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