sabato 23 novembre 2013
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Il movimento cooperativo e le sue realizzazioni oggi «sono oggetto di qualche incomprensione anche a livello europeo, ma ritengo che non considerare attuale questa forma di presenza nel mondo produttivo costituisca un impoverimento che lascia spazio alle omologazioni e non promuove le differenze e l’identità». L’intervento di Papa Francesco al Festival della Dottrina sociale della Chiesa costituisce una importante indicazione per tutti coloro che cercano una via d’uscita da una crisi drammatica come quella in cui siamo immersi. Questo perché di cooperazione, almeno in tempo di crisi bisogna ben parlare: lo hanno fatto economisti del passato di scuole diverse, quando l’hanno indicata come lo strumento più idoneo ad appianare «i fallimenti del mercato», soprattutto nelle congiunture negative. In un momento come questo appare assurdo il maldestro tentativo di chiedere alle imprese cooperative (in particolare a quelle del settore creditizio) di omologare la propria fisionomia a quella delle imprese volte a massimizzare la ricchezza e a ridistribuirla tra i propri azionisti. Se l’obiettivo è una economia di uguali, almeno da questo punto di vista bisognerebbe che l’omologazione non avvenisse in direzione di un obiettivo che, portato alle estreme conseguenze da una speculazione finanziaria forsennata, ha provocato e trasmesso la crisi a tutto l’Occidente.
La cooperativa, con quel suo distribuire automaticamente la ricchezza nel momento stesso della sua produzione, con l’avere come scopo primario la crescita di una pluralità molto grande di soggetti, non solo dei soci, dovrebbe poter continuare a svolgere la propria funzione di «economia differente», per il bene di tutta la collettività. La sua responsabilità va ben al di là di questo limitato ruolo che persino economisti come Maffeo Pantaleoni non esitarono ad assegnarle: lo mise ben in luce, in un intervento in occasione di un congresso internazionale tenutosi a Parigi ai primi del ’900, Giuseppe Toniolo. A suo avviso la cooperazione, e soprattutto quella ad ispirazione cristiana sono un esempio del vero modo di fare economia e possono essere l’«epifania» di una società nuova.
L’economista cattolico aveva di fronte una società europea che stentava ad affrancarsi da una depressione di grandissime proporzioni, generata dalle avvisaglie di una crescente globalizzazione dell’economia e dalla stanchezza di una cultura sociale invecchiata precocemente. Ecco allora che l’economia poteva ritrovare la propria essenza di strumento atto ad assicurare benessere e felicità a tutti gli uomini, a quella grande famiglia umana destinata a crescere insieme o a perire tutta, prima o poi, inesorabilmente.
Era l’antica logica dell’«oikonomia» classica, di quel «governo della casa» attuabile solo con una costante attività collaborativa tra «diversi», tutti proiettati però alla costruzione del bene comune. Si sarebbero potute quindi creare comunità complementari sempre più ampie, in una sorta di «divisione del lavoro» sempre più compressa, fino a creare quel «mercato dell’universo» di cui pur aveva parlato più di un teorico dell’economia. Ebbene, proprio la cooperativa, che nella sua mente doveva coesistere con le imprese volte al profitto individuale, era l’ultimo residuo di quel modo originario di fare economia; non quindi un «un terzo settore» residuale di una realtà in costante bilico tra economia di mercato ed economia di piano, ma «il settore» più vicino ad un modo di operare lontanissimo dalla degenerazione distruttiva della speculazione fine a sé stessa.
Interesse e compassione (nel senso etimologico del termine) insieme possono veramente costruire una società diversa, capace di generare una crescita magari più lenta, ma costante e generalizzata. Nella cooperativa (quella vera, ovviamente) si è più predisposti a fare ciò, si è più attenti all’interesse collettivo e non solo a quello degli altri soci. Ben venga l’auspicio di papa Francesco: ce n’è bisogno anche per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei responsabili della politica europea su complicazioni che oggi devono affrontare tanti entusiasti operatori del movimento cooperativo. Senza sconti, certo, ma avendo riconoscimento di una «differenza» che lascia trasparire una antica primogenitura.
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