sabato 9 luglio 2016
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Altri giornali italiani 'scoprono' la Comunità di Capodarco. Dopo 50 anni, perché tanti ne compie la bellissima realtà di accoglienza nata nel Natale del 1966 dalla profetica intuizione di don Franco Monterubbianesi, assieme a tredici disabili. Vita comunitaria tra 'normali' e 'diversi'. Chiesa in uscita, chiesa delle periferie territoriali e esistenziali, come tante che ogni giorno faticano e costruiscono nella nostra Italia, aprendo porte e cuori. Giovedì sera, alla fine di una giornata emotivamente piena, don Vinicio Albanesi, che guida da anni la Comunità, confessa lo stupore « per l’arrivo di tanti giornalisti», ma anche «per il fatto che non sanno un bel nulla di Capodarco». Già, Capodarco che cosa? È triste doverlo scrivere, ma la drammatica morte di Emmanuel, accolto e seguito dalla 'Fondazione diocesana  Caritas in veritate' che a Fermo fa capo sempre a don Vinicio, ha portato un bel pezzo di stampa italiana a 'scoprire' che nel nostro Paese c’è altro, molto altro, rispetto a quello che ogni giorno riempie le pagine dei giornali. Per esempio quella grande sala da pranzo dove attorno ai tavoli, tutti uguali, mangiano disabili gravi in carrozzina e operatori. Per esempio il seminario arcivescovile di questa diocesi marchigiana che ha aperto le sue porte a più di cento profughi e richiedenti asilo, con impegno ed efficienza. Per esempio, le cinque suore della comunità Piccole sorelle Jesus Caritas che seguono, aiutano, sostengono giovani africani. Col sorriso e la preparazione professionale. Che parlano con naturalezza della loro vocazione, ma anche delle domande che si sono fatte dopo l’uccisione di Emmanuel. «Ma sono proprio suore? Sono anche belle...», si stupiva un inviato. E chi l’ha detto che le suore non lo siano? Sì, giovani, belle, e con quella Croce appesa ben in vista sul petto, pronte a 'sporcarsi' per i meno belli. Stupore, dunque, per una Chiesa, per preti e suore e volontari che un bel pezzo di stampa non racconta, perché non la vede e non la va a cercare. È un’Italia positiva, a Capodarco come in mille altri luoghi. Sta in prima fila negli sbarchi, ma anche dopo, quando l’attenzione mediatica cala. È quella che si occupa degli 'scarti' dell’umanità, dal primo giorno di vita all’ultimo, e che salva ogni annoi migliaia di figli dal rischio di essere abortiti. Che difende coi fatti i diritti di tutti, ma proprio tutti. Che va dove altri non possono o non vogliono andare. Eppure non è considerata 'notiziabile' da chi, magari, pensa che per parlare di Chiesa bisogna occuparsi di (presunti) privilegi Imu, «scandali vaticani», casi di pedofilia, che vanno raccontati e denunciati, se veri e documentati, ma assieme a tutto il resto. E così ci si imbatte in Capodarco e ci si stupisce. Di quello che è, della sua bellezza, compreso il panorama che si gode dalla sala da pranzo. Ma perché? I disabili non vedono, e non apprezzano? Davvero ci voleva il dramma di Emmanuel e Chinyery per scrivere di altro. Neanche le bombe a quattro chiese di Fermo avevano mosso interesse e curiosità. Domande? Nulla. Neanche per rendersi conto che quelle parrocchie, e tante altre, avevano, e hanno, le porte sempre aperte a chi bussa e tende la mano. Ora, qualcosa è cambiato. È l’ultimo dono di Emmanuel, che l’aveva incontrata trovando quella felicità che aveva perso nella sua Nigeria. Bravi i colleghi ad averlo raccolto. Ora però non si aspetti un nuovo dramma per 'scoprire' chi prova tutti i giorni a scongiurarlo.
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